Il nido urbano di Luca Matti a Firenze
L’occasione è l’inaugurazione di una nuova scultura di Luca Matti che è stata installata lungo viale Guidoni, nel nuovo quartiere di espansione di Firenze. Dopo Babele, dopo la denuncia dello sprawl e l’esigenza di una rifondazione delle città, nascono i NuoviMondi. E a seguire viene inaugurato NidoMondo, una scultura che viene installata all’aperto, in un giardino urbano. Artribune ha intervistato l’artista.
La tua nuova scultura è stata installata all’esterno, è la prima volta?
NidoMondo è la mia prima scultura che viene installata all’aperto. È stata realizzata con struttura in ferro e tubi di polietilene, posta all’ingresso della “città nuova”, pensata come un mappamondo che accoglie il viaggiatore.
Dopo la denuncia di Babele nei confronti della cementificazione delle città, realizzi un’opera che viene installata in un’area di nuova espansione a Firenze; è un tentativo di riconciliazione con la città contemporanea o è un grido di denuncia?
Il mio è sempre un grido di denuncia, un sistema per affrontare ed esorcizzare le questioni, per stimolare un miglioramento. NidoMondo è un nodo, un groviglio… annullamento della geografia esistente, è un mondo dove prevale su tutto la tecnologia e il sistema di connessioni. Allo stesso tempo, però, l’intreccio dei tubi di polietilene è la rappresentazione primordiale del nido, archetipo dell’abitazione e quindi della città che deriva da un eccesso di tecnologia. È una polemica forte nei confronti dell’assenza di figurabilità della città dovuta al costruire incontrollato, alla perdita di valore della qualità degli spazi urbani in favore del sistema di reti che li tiene uniti ma solo in maniera virtuale.
La scultura installata lungo viale Guidoni a Firenze si colloca vicino ad alcune delle nuove opere degli architetti che tu stesso hai ritratto in Babele; sono gli artefici di ciò verso cui ti ribelli?
Nelle città contemporanee in espansione, e quindi anche a Firenze-Novoli, c’è una responsabilità dovuta alla crescita incontrollata ma anche all’architettura e quindi alla mancanza di identità degli spazi. In Babele ho ritratto circa 64 architetti, che accompagnavano lo sguardo verso la grande tela del Big Bang; lo accompagnavano perché ne sono gli artefici.
I grattacieli che germogliano gli uni dagli altri dei NuoviMondi sono polemici nei confronti della speculazione edilizia intesa come espressione del capitalismo o sono l’espressione di un disagio sociale che un certo tipo di architettura ha contribuito a generare?
Entrambe le cose. NuoviMondi, infatti, nasce dalla polemica nei confronti di un mondo invaso oltre che dal cemento anche dal petrolio. A partire dalle proiezioni geografiche antiche, ho costruito un atlante disegnato col bitume; tutte le mappe sono deformate, distorte, il bitume cola sulle tele a rappresentare il decadimento. I paesi si toccano perché l’uomo ha invaso tutto; non c’è colore perché non c’è natura.
In Babele hai rappresentato anche la necessità di una rifondazione delle città, quindi denuncia ma anche speranza. Cosa sono i NuoviMondi?
In tutte le mie opere c’è denuncia ma speranza, c’è l’uso di materiali industriali, duri ma le forme afferiscono ad un immaginario morbido, curvilineo, positivo. Nelle Building Head, ad esempio, la cementificazione del pensiero genera una condizione per l’uomo dalla quale è difficile trovare una via d’uscita. Tuttavia, come mostra il video da cui nasce l’idea delle Building Head, alla fine, questa figura umana deformata, questo frammento di città vivente trova un sollievo alla propria condizione.
Tu utilizzi camere d’aria, tubi di gomma, e ora nei NuoviMondi anche il bitume; hai mai usato il cemento?
Ho usato il cemento per costruire un prototipo al vero delle immagini di città che connotano sempre i miei lavori. È qui nell’androne d’ingresso della mia casa-studio; una sorta di plastico di città dove prevalgono le ragioni della cementificazione del pensiero umano, un plastico di Babele, un frammento di un NuovoMondo, una riproduzione al vero del pensiero dell’uomo contemporaneo, l’uomo delle Building Head.
Francesca Genise
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