Italian Strangers
Fra i 14 artisti selezionati da Bartolomeo Pietromarchi per “Vice versa”, la mostra del Padiglione Italia alla Biennale di Venezia, ci sono anche alcuni “stranieri”. Che abbiamo intervistato.
Francesca Grilli (in coppia con Massimo Bartolini nella “stanza” della libertà) è bolognese di nascita ma vive ad Amsterdam, Sislej Xhafa (con Piero Golia all’esterno del padiglione, a riflettere su tragedia e commedia) è kosovaro e ora risiede a New York, ma ha trascorso molti anni in Italia. Due artisti che condividono la ricerca di una precisa tracciabilità simbolica del gesto umano e l’attenzione spasmodica per la misurazione di ogni distanza, da colmare entro uno spazio definito e definitivo. Anche in questo caso, quindi, come con Giulio Paolini e Marco Tirelli, stesse domande per entrambi.
Che cosa significa per te, per il tuo lavoro, diventare parte di un paesaggio estetico che rappresenterà l’Italia alla prossima Biennale di Venezia?
Francesca Grilli: Ringrazio davvero per questa possibilità, è un onore e una grande responsabilità. Dopo aver passato molti anni all’estero, ora mi sono ritrasferita per un lungo periodo in Italia, proprio per seguire a fondo il progetto e per respirare ancora l’aria del mio Paese. Credo che fare parte di un’idea così ampia e profonda esiga innanzitutto un processo di elaborazione verso se stessi e una riflessione sulla propria appartenenza.
Sislej Xhafa: Per il mio lavoro è motivo tanto di orgoglio quanto di timidezza essere stato selezionato e partecipare al Padiglione Italia. La timidezza è uno di miei punti di forza e non una debolezza, come solitamente si pensa. Come l’orgoglio, che io vedo, in me, come una forma di rispetto e di sensibilità. Vivo questa mia terza partecipazione da individuo, più che da artista, come una sorta di sfida. Provo un forte senso di responsabilità nel dover rappresentare e interpretare il vostro Paese, quanto una parte del mio percorso, cominciato all’Accademia delle Belle Arti a Firenze. In Italia ho imparato a mettere a confronto il mio lavoro con la società, con la vita di tutti i giorni, trovando anche, poi, la necessità di andarmene per poter crescere di più.
Lavorando principalmente all’estero, quali differenze hai riscontrato culturalmente in Italia, negli ultimi due anni? Cosa cambieresti e come?
F.G.: Pur vivendo in un altro Paese, credo che la qualità artistica italiana sia molto alta. Ho sempre pensato che sia un Paese di grande forza, di grandi passioni culturali e umane, di cui purtroppo si sottovaluta l’importanza, svilendo le opportunità e non tenendo conto del potenziale visionario dei nostri artisti. L’Italia non ha bisogno di omologazioni culturali con gli altri Paesi, non siamo da meno: questo vorrei sottolineare.
S. X.: L’Arte Povera, all’estero, è il movimento che spesso viene ritenuto più vicino al contemporaneo italiano. Sono convinto che ancora oggi, nel mondo, le giovani generazioni ritengano l’Arte Povera un modello da imitare. Ma in Italia le estetiche di riferimento oggi sono diverse. E per me, la fame nel cercare la propria capitale dell’arte, viaggiando tra New York, Berlino, Parigi e Roma, deve rimanere forte. Io devo porre questioni, diventando reazione che arrivi come un messaggio, un sistema per scardinare la pigrizia della mediocrità.
Quali temi affronti all’interno dei progetti che presenti in Biennale? Che cosa ne pensi del sistema allestitivo di Vice versa?
F.G.: Il confronto con altre generazioni, linguaggi, punti di vista e gender mi fa riflettere sul dialogo intenso che ne verrà fuori. Vice versa è un viaggio umano, un percorso storico che parte da un tempo addietro per arrivare al presente, e racconterà l’Italia come uno specchio.
S. X.: La sfida con lo spazio è sempre un diretto confronto con me stesso, cambiando spesso le mie prospettive. Dunque, l’idea di allestire a coppie il percorso di Vice versa, fin da subito, mi è piaciuto moltissimo. Credo che questo approccio limiti molto l’egoismo e l’egocentrismo degli artisti, a scapito di una maggiore apertura verso il pubblico e verso le singole differenze intellettuali. Quello che ho in mente è un processo più che un progetto. Anticipo solo una parola: Spritzer!
Quali procedimenti utilizzi, solitamente, per condensare l’atto nell’arco di una performance, in un rito che esprima esattamente e formalmente il concetto o il mondo che hai in animo di far emergere?
F.G.: Mi interessa la capacità umana di ognuno di noi, messa di fronte al proprio limite apparente. Amo infrangere quel limite, portandolo all’esasperazione, fino a superarlo. Il microgesto quotidiano è il punto di forza delle mie azioni. L’esperienza in cui tutti siamo coinvolti è il mio punto di arrivo.
S. X.: Cammino circa sei ore al giorno, qui a New York. Per le strade mi stupisco della vita quotidiana, osservando le persone vere. Sono loro che compiono gli atti più animaleschi che aggrediscono lo spazio. Proprio come durante il tempo della performance, che deve reagire lontana dall’ambiente asettico del white cube.
Tanto Francesca Grilli quanto Sislej Xhafa hanno la capacità di mettere in luce strategie visive e compositive di lettura dell’Altro, attraverso macrotematiche socio-identitarie. Quali sono le ultime intuizioni alle quali stai lavorando e perché?
F.G.: Sviluppo e approfondisco la mia ricerca verso il senso di responsabilità che il pubblico deve avere verso l’opera stessa, a volte entrando a farne parte. Responsabilità condivisa con performer, istituzione, sistema dell’arte e artista.
S. X.: Ultimamente sono attratto dalle nuove tecnologie, da come esse manipolino i nostri atteggiamenti; e da come la propaganda guidi le trasformazioni socio-economiche nel mondo. Oggi si vive nel teatro del consumismo e sul palco della televisione: per diventare osservatori curiosi bisogna incominciare a utilizzare le nuove tecnologie in maniera creativa, fondando una nuova espressività democratica.
Quali sono i tuoi futuri progetti, dopo la partecipazione in Biennale?
F.G.: Ora c’è la Biennale, poi credo trascorrerò un po’ di tempo con mia figlia.
S. X.: Per ora è troppo presto parlarne, li svelerò dopo la Biennale. Per ora ripeto ancora: Spritzer!
Ginevra Bria
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #13/14
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