Italiani in trasferta. A Venezia
La valigia in mano ce l’abbiamo di default: condizione nomade per definizione quella dell’italiano, cittadino del mondo per voglia o necessità, oggi come allora fedele all’adagio che ci fa popolo di navigatori. Viaggiatori sulle rotte della cultura, che portano a vivere e creare all’estero; o anche solo a sintonizzarsi sulla stessa lunghezza d’onda che, per quanto a distanza, anima la scena di altri Paesi.
E così non mancano, nelle partecipazioni nazionali in arrivo da ogni angolo del pianeta, nomi e suggestioni nostrane: a premiare una tradizione curatoriale che pare ben considerata, forse più dell’estro del singolo artista.
È stato direttore della Fondazione Volume! per quattro anni, prima di spostarsi in giro per Francia, Germania e – oggi – Olanda: Lorenzo Benedetti è da tempo in pianta stabile nel Paese dei tulipani, per conto del quale porta ai Giardini l’universo visionario di Mark Manders, personaggio che aveva piacevolmente impressionato nel 2002 a Documenta con la sua anti-monumentale stanza di sabbia. Allure internazionale anche per Ilaria Bonacossa, a Palazzo Zenobio per condividere quella certa idea dell’Islanda incarnata da Katrín Sigurdardóttir; e per Anna Loporcaro, curatrice della Design City del Mudam in Lussemburgo, che chiama a rappresentare il piccolo principato – in quel di Ca’ Granda – Catherine Lorent.
L’italiano spopola ai tropici e nei Paesi emergenti: Stefano Ribolli Pansera cura il Padiglione Angola, mentre quello indonesiano vede come commissario aggiunto Achille Bonita Oliva che nel sud est asiatico è sempre più di casa: buen retiro, ma anche nuova piattaforma professionale. Il tandem composto da Sandro Orlandi e Paola Poponi distribuisce tra l’Isola di San Servolo e la Caserma Cornoldi gli artisti del Padiglione Kenya: tra questi anche l’eclettico Armando Tanzini, sedotto dal clima di Malindi e passato da riga e squadra – ha arredato anche Casa Briatore – all’arte. Da un paradiso terrestre all’altro: Alfredo Cramerotti è nel pool di curatori che dà vita al Padiglione Maldive, dove espongono – tra gli altri – anche Patrizio Travagli e Stefano Cagol. Progetto dedicato al concetto di effimero, costruito attorno alla possibile scomparsa degli atolli, da qui a un secolo, a causa del progressivo innalzamento del livello dell’oceano dovuto all’inquinamento: immagine iconica, allora, quella scelta da Cagol, che piazza nei Giardini un monumentale dolmen in ghiaccio, destinato a squagliarsi inesorabilmente.
Giacomo Zaza sceglie, insieme a Jorge Fernandez Torres, anche Gilberto Zorio e Francesca Leone per raccontare nel Padiglione Cuba allestito al Museo Archeologico di Piazza San Marco La Perversión de lo clásico, in un presumibile dialogo tra antico e contemporaneo; in Centro America si incontrano Francesco Anselmi e Fabio Alisei, tra i commissari del Padiglione Costa Rica a Ca’ Bonvicini. Ma anche, caso eccezionale di pluralità di impegni, curatori della collettiva Supernatural che, all’Officina delle Zattere, accende la luce sulla scena artistica del Bangladesh.
Vittorio Urbani, genius loci della Giudecca, è commissario aggiunto del Padiglione Iraq a Ca’ Dandolo, dove si cerca di restituire un’istantanea di come l’arte stia risorgendo dopo decenni di regime; mentre Angela Vettese apre le porte della Bevilacqua La Masa alla Norvegia. Beware of the Holy Whore titola l’ardito accostamento tra Edvard Munch e Lene Berg, ideato insieme a Marta Kuzma e Pablo Lafuente. Titolo preso da un film di Fassbinder, esposizione di una trentina di lavori di Munch mai visti in Italia, a intrecciarsi sul tema dell’alienazione e dell’emancipazione con i video, in parte inediti, della Berg.
Pochi italiani alla Biennale: e allora ce li porto io. Era il 2007 quando Duccio Trombadori annunciava dalle colonne de Il Giornale il proprio dissenso nei confronti di una rassegna tutto meno che autarchica; il nostro, all’epoca curatore della Siria, aveva rinfocolato l’orgoglio nazionale invitando cinque artisti nostrani. Oggi torna a colpire, sempre in veste di responsabile del padiglione siriano, con una collettiva che attinge non poco ai pozzi del Belpaese: all’Isola di San Servolo riecco Concetto Pozzati e Dario Arcidiacono, già selezionati all’epoca, oggi in compagnia di Giulio Durini, Massimiliano Alioto, Felipe Cardena, Roberto Paolini, Sergio Lombardo, Camilla Ancillotto, Lucio Micheletti, Lidia Bachis e il Cracking Art Group. Tutti riuniti sotto l’egida di un Giorgio de Chirico eletto a nume tutelare.
Scelte che guardano agli analisti della linea e della forma per Luis Pérez-Oramas, che nel padiglione Brasile porta la madrina del movimento neo-concretista Lygia Clark e l’eclettico Max Bill, Odires Mlászho ed Hélio Fervenza: oltre a Bruno Munari, in Biennale a quasi trent’anni dalla personale che nel 1986 celebrava in una sala apposita la sua attività di pittore.
Francesco Sala
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #13
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