L’unione fa la forza
I distretti industriali sono stati la formula vincente per l'imprenditoria, culturalmente votata all'individualismo; l'unica via per coagulare massa critica e quindi competitività. Oggi l'esigenza di essere uniti è uno spartiacque tra chi ce la fa e chi scompare.
Si pensi ai settori di offerta caratterizzata dalla presenza di imprenditoria privata: editoria, musica, cinema e gran parte di spettacolo dal vivo. Spesso sono nati e cresciuti grazie a forme di sostegno o tutela pubblica e ne sono stati condizionati nel modo di essere impresa. Le ristrettezze di finanza pubblica e la crescente consapevolezza che mai più si potrà tornare a quelle abitudini stanno spingendo molti sull’orlo del precipizio: o si cambia o si cade. Le pratiche del consumo non riescono a far vedere i piccoli, i quali a loro volta non riescono a farsi vedere. Non è solo una questione di comunicazione.
Unione non significa solo accumulo di capitali che permettono di fare acquisti altrimenti impossibili. Significa soprattutto strategia. Le associazioni di categoria, al pari dei singoli, stanno vivendo un momento di crisi proprio per il rinnovato (o meno) ruolo che possono svolgere. Da interlocutore della politica nella prassi delle richieste assistenziali (naturalmente estremizzo), le associazioni sono diventate, a partire dagli Anni Novanta, incapaci di rappresentare alcunché, perché i modelli clientelari sono cambiati. Oggi però conoscono nuova vita.
I sindacati d’impresa possono diventare non più collettore di prebende, ma capacità di sintesi delle intelligenze e delle volontà degli associati. I consumi culturali sono esplosi. Il digitale ha aperto il mercato assoluto e sempre più soggetti della domanda e dell’offerta lo coglieranno. Ma in questa fluidità molti affogheranno, perché incapaci di darsi un’identità, di agganciare la propria ad altre per farne una complessa. È una sfida affascinante, perché prevalgono le opportunità alle minacce, perché vincono le forze (dell’unione) alle debolezze (dei singoli). La lentezza ad accendersi d’entusiasmo è l’ennesima dimostrazione di quanto il nostro Paese sia ancora frequentato, nei posti di comando, da persone vetuste, inadeguate, che non vogliono e non possono capire che il mondo è cambiato, e la vita può anche essere molto più bella di prima.
Fabio Severino
vicepresidente dell’associazione economia della cultura
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #12
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