Monza (Art) Police Department
Si muovono in borghese, presenza silenziosa ma efficace. Stanano ladri, falsari e truffatori. Sono i Carabinieri del Nucleo per la Tutela del Patrimonio Culturale. Dalla Villa Reale di Monza agiscono in tutta la Lombardia, piazza principale per il mercato italiano dell’arte. E dunque, inevitabilmente, per gli illeciti.
Dopo un quarto d’ora di dialogo serrato, non ha usato il termine ‘arte’ nemmeno una volta. E certo non per sbadataggine o superficialità. Per il capitano Andrea Ilari, responsabile per la Lombardia del Nucleo per la Tutela del Patrimonio Culturale dei Carabinieri, la parola d’ordine è infatti ‘mercato’. Il territorio in cui si trova a operare costituisce la più importante piazza italiana per la compravendita di opere d’arte, oltre a essere naturale testa di ponte per contatti con Svizzera e Francia: una pura questione statistica rende dunque Milano e dintorni una delle aree a maggiore concentrazione di illeciti.
Sono la bellezza di 164 le falsificazioni scoperte nel solo 2012; 99 i furti, in netto calo rispetto ai 151 dell’anno precedente: merito di un’attività d’indagine molto più radicata di quanto non faccia pensare l’esiguo numero di effettivi a disposizione (appena una quindicina); ma anche, confessa Ilari, lo stato di brusca frenata dovuto alla crisi. Perché se a languire è il mercato emerso, non va troppo meglio per quello illegale: appesantito, dalla metà del 2008, da un calo verticale della domanda. Ma non solo. Almeno in materia di tutela del patrimonio culturale, le spesso farraginose maglie della burocrazia italiana si rivelano efficienti ed efficaci: nel nostro Paese è più difficile delinquere. Soprattutto è meno semplice che altrove eludere i criteri, sempre più stretti, della tracciabilità: per le forze dell’ordine è indispensabile conoscere i diversi passaggi di proprietà di un’opera, così da accertare che non sia oggetto di fantasmagoriche emersioni o frutto di attività di elusione ed evasione fiscale.
Nel mirino non sono infatti solo i casi, peraltro mediaticamente eccitanti, che vedono l’opera come fine ultimo dell’attività illegale; ma anche, se non soprattutto, quelli che in cui ci si serve dell’arte come mezzo per commettere altro tipo di reato. Attenzione allora a furti e falsificazioni. Ma anche a compravendite irregolari, omesse dichiarazioni, riciclaggio di denaro. Come dimostrano i due importanti sequestri avvenuti, tra 2008 e 2009, a carico di affiliati a ‘ndrine attive al Nord. “Spesso gli scambi tra privati avvengono in modo che potremmo definire un po’ troppo smart”, spiega Ilari. “Questo è l’ambito in cui è più difficile muoversi: là dove, invece, il controllo degli operatori del settore è molto stretto, come pure l’attività di monitoraggio delle grandi collezioni pubbliche e private”.
Gli standard di acquisizione, all’interno dei musei, sono tanto rigorosi da rendere decisamente difficile la comparsa di opere rubate; le banche dati in possesso dei Carabinieri del Nucleo di Tutela Beni Culturali, integrate con quelle raccolte dall’Interpol, contano su schede catalografiche di precisione assoluta: vere e proprie radiografie più che dettagli descrittivi, che rendono impossibile confondere un pezzo con un altro. La digitalizzazione dei repertori sta agevolando, e non poco, il lavoro: la CEI ha pressoché concluso, almeno in Lombardia, la descrizione completa dei suoi averi. Un processo che possiamo accostare alla macchiatura delle banconote nei casi dei colpi in banca: se un oggetto rubato è ben catalogato non può emergere, non è spendibile, restando confinato negli anfratti di un mercato nero sempre più ristretto.
La vera minaccia, allora, arriva dalla fuga verso l’estero. Perché passata la frontiera, le situazioni cambiano: “L’esportazione illecita non è contemplata nel diritto anglosassone. E considerato che, con appena 2.000 dollari, è possibile aprire, in un qualsiasi paradiso fiscale, un trust al quale girare senza nessun controllo la titolarità dei propri beni, si capisce come la sparizione di opere d’arte sia un pericolo su cui non abbassare la guardia”.
Nel rapporto con l’estero la voce ‘restituzioni’ merita un discorso a parte. L’Italia, Paese che rende il maltolto – vedi il caso dell’obelisco di Axum – è anche Paese che sa farsi risarcire: dopo la spinosa questione legata ai reperti di arte antica spuntati in modo disinvolto al Getty Museum, le cose sono decisamente cambiate. L’Italia che sa fare, caso strano, massa critica, ha vinto battaglie importanti: la minaccia di bloccare i prestiti di altre opere e il grande polverone mediatico attorno a casi così clamorosi ci ha reso modello a cui guardano i legislatori di tutti gli altri Paesi del Mediterraneo. Una mazzata forse definitiva per il commercio illegale di reperti archeologici, già da tempo sparito sul mercato interno, fortemente ridimensionato anche alla voce export. Dove cresce, semmai, l’attenzione nei confronti dei beni librari: la vicenda, limite, dello smembramento della Biblioteca dei Girolamini rappresenta la punta dell’iceberg per un lucroso commercio bibliofilo.
Francesco Sala
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #12
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