Rebecca Ward, l’enfant prodige che viene dal Texas
Dal Texas all’Umbria, passando per Londra e New York. Rebecca Ward, seppur giovanissima, si confronta da tempo con le opere dei grandi maestri, senza sfigurare. Proprio oggi inaugura una mostra alla nuova galleria di Matteo Boetti e Andrea Bizzarro a Todi, dopo la personale alla Ronchini Gallery di Londra. In Umbria si presenta in coppia con un altro mostro sacro dell’arte contemporanea: Carla Accardi. Artribune l’ha intervistata.
Rebecca Ward (Taxo, 1984) ha esposto nel 2011 nello show inaugurale della galleria Family Business di Massimiliano Gioni e Maurizio Cattelan, quando studiava ancora alla School of Visual Arts di New York, e ha appena concluso una personale a Londra, proprio nel giorno – oggi 18 maggio – in cui inaugura un’altra mostra in coppia con Carla Accardi a Todi. Nonostante la giovane età anagrafica, l’artista americana ha tutte le carte in regola per diventare un personaggio di cui si sentirà parlare.
Alla fine dell’anno passato alla Ronchini Gallery di Londra i suoi lavori e quelli di altri giovani artisti americani erano stati esposti in TIME, after TIME accanto a quelli di Boetti, Burri, Castellani, Dadamaino, Pistoletto, Dorazio, Scheggi e Schifano, artisti tradizionalmente legati alla galleria grazie al lungimirante collezionismo di Adriano Ronchini. I curatori Carlo Berardi e Jason Lee, alias Artnesia, avevano selezionato giovanissimi artisti d’oltreoceano che avevano come riferimento comune l’Arte Povera, mettendoli in parallelo con i loro maestri.
Le opere di Rebecca Ward, esposte accanto a quelle di Alighiero Boetti, spiccavano per ricerca e raffinatezza Ora i suoi nuovi lavori vengono mostrati al pubblico londinese, sempre alla Ronchini Gallery, in Cow tipping, in una mostra che svela nuovi indirizzi di ricerca dell’artista.
Le sue imponenti installazioni fatte di nastro adesivo sono state le prime opere a renderla conosciuta: memori di quelle di Daniel Buren, Ward gli infonde tuttavia un movimento, una tridimensionalità e una valenza scultorea sconosciuti all’artista francese. Una costante e meticolosa sperimentazione nel suo studio l’ha poi portata a confrontarsi con la tela nuda. L’ha imbevuta di colore, l’ha scolorita, l’ha strappata e l’ha decomposta. Come una ribelle Penelope, invece di tesserla l’ha distrutta, sottraendo i fili uno a uno, creando nuove geometrie e lasciando alla tela la possibilità di dichiarare anche il proprio ruolo di supporto.
In questi giorni l’artista si trova in Italia, impegnata a creare i nuovi lavori per lo show che inaugurerà la nuova avventura di Matteo Boetti e Andrea Bizzarro a Todi: Bibo’s Place.
Dopo aver esposto accanto al Boetti padre, esporrà nella galleria del figlio accanto a Carla Accardi, in quella che vuole essere una celebrazione del genio femminile.
Rebecca Ward viene dal Texas e vive a New York, ma nella sua appena iniziata carriera sembra già aver instaurato un rapporto privilegiato con l’Italia. Avendo avuto l’occasione di incontrarla a Londra, ne abbiamo approfittato per farle alcune domande.
Hai lavorato diverse volte in collaborazione con artisti, curatori e galleristi italiani. Prima con Massimiliano Gioni e Maurizio Cattelan per la mostra alla galleria Family Business a New York nel 2011, ora con la tua personale alla Ronchini Gallery a Londra, e ancora con la mostra che aprirà questo mese alla Bibo’s Gallery a Todi. Qual è il tuo legame con l’Italia, e come sono nati questi progetti?
Devo ringraziare enormemente la divinità dell’arte Marilyn Minter per avermi incluso nella mostra alla Family Business di Cattelan e Gioni. È stato lì che Carlo Berardi e Jason Lee di Artnesia hanno visto il mio lavoro e poi visitato il mio studio a New York. Mi hanno poi incluso nella collettiva Time After Time alla Ronchini Gallery nel 2012. Abbiamo lavorato insieme da allora ed è stato eccezionale.
Senza dubbio io e gli italiani condividiamo la stessa estetica e le stesse decisioni concettuali nell’arte contemporanea. Non ho idea di come sia possibile, essendo nata e cresciuta in un “cowboy country” come il Texas, ma sembra che gli italiani apprezzino la bellezza in una maniera unica rispetto al resto del mondo. C’è una storia talmente straordinaria in Italia, e penso che l’ammirazione derivi dalla conoscenza e dal rispetto di questa storia immensa. Questa è una parte importante del mio lavoro: l’incontro tra vecchio e nuovo, e la combinazione di diversi tipi di bellezza.
Nel tuo lavoro fai spesso riferimento all’Arte Povera. Qual è la tua relazione con essa e come ha influenzato la tua ricerca?
Sono sempre stata interessata a un lavoro profondamente influenzato dai materiali. Quando ho iniziato a fare ricerca sull’Arte Povera durante i miei studi ho capito in maniera più chiara che le mie preoccupazioni artistiche si allineavano concettualmente con quelle degli artisti coinvolti. Penso che l’Arte Povera continui a influenzare il mio lavoro: mi riferisco per esempio all’opera di un artista come Alighiero Boetti, che ha realizzato così tanto durante la sua vita. Ha avuto moltissime idee rivoluzionarie riuscendo comunque ad approfondirle in maniera comprensibile. Boetti non smetteva mai di pensare, e questo serve d’ispirazione. Posso sempre guardare a lui e pensare “Posso fare di più. Posso fare cose più grandi, migliori e più radicali”.
La mostra alla Bibo’s Gallery, la nuova galleria di Matteo Boetti e Andrea Bizzarro è in omaggio al genio femminile e i tuoi lavori sono esposti insieme a quelli di Carla Accardi. La sua ricerca è stata importante per il tuo lavoro o no? Come consideri la sua opera oggi?
La galleria in sé è qualcosa di eccezionale. È un palazzo rinascimentale con affreschi dell’epoca (hanno addirittura scoperto un nuovo affresco questo mese). Si aggiunge un’altra dimensione al lavoro quando questo è presentato in un contesto storico così splendido.
Il lavoro di Accardi è assolutamente straordinario. Sembra quasi che sia stato fatto da qualcuno della mia età, la scorsa settimana. È molto fresco e ancora importante per l’astrazione oggi. Nel contesto storico, Accardi faceva cose negli Anni Sessanta e Settanta che artisti come me stanno sperimentando ora. Nel corso della mia ricerca ho scoperto che condividiamo una serie di interessi, come l’anti-painting, che chiaramente unisce il nostro lavoro. Materialmente gran parte del lavoro è fatto nello stesso modo; entrambe operiamo su un tavolo o sul pavimento. Ma per lei, usando materiali alternativi come il sicofoil e la pittura sulla tela grezza e lino, era così originale. Oggi penso che queste questioni siano all’avanguardia di un più ampio ritorno all’astrazione. È un onore esporre insieme a una figura talmente importante, e spero di imparare dalle sue idee ad approfondire ulteriormente la mia ricerca.
Roberta Minnucci
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