Butterfly secondo Mariko Mori
La Fenice, Venezia. Venerdì 21 giugno è in programma la prima di “Madama Butterfly” di Puccini. In un nuovo allestimento che prevede scene e costumi di Mariko Mori. Un progetto speciale della 55. Biennale d’Arte. Ne abbiamo parlato con l’artista giapponese.
Oggi 19 giugno, al Teatro La Fenice di Venezia, anteprima per la stampa di una nuova produzione di Madama Butterfly di Giacomo Puccini. La “prima” avrà luogo venerdì 21. Lo spettacolo verrà replicato sino al 30 giugno, ripreso in ottobre e tornerà nel cartellone del lirico veneziano ogni due anni per i prossimi cinque-sei anni, anche nel quadro di una trilogia pucciniana (con Tosca e La Bohème) organizzata spesso su tre rappresentazioni di fine settimana, in modo che possa essere gustata da turisti in visita a Venezia per pochi giorni o anche attirare in Laguna spettatori dal resto d’Italia e da Paesi vicini. Il cast internazionale è di livello, il maestro concertatore è il giovane e bravo Omar MeirWellber (una delle più promettenti bacchette israeliane), la regia di Álex Rigola (che per tre anni ha diretto con successo la sezione teatro della Biennale). Tutte carte vincenti.
La novità più importante sono le scene e i costumi di Mariko Mori, con cui abbiamo avuto il piacere di scambiare idee a Roma. Mariko, dopo aver lavorato per alcuni anni come modella ed essersi laureata in Fashion Design al Bunka Fashion College di Tokyo, è ora riconosciuta come una delle maggiori artiste giapponesi di visual art.
Si dedicherà ora anche al teatro e in particolare al teatro in musica? La risposta è secca: “Questa ‘Bufferfly’ è un unicum”. Nasce da un’iniziativa del presidente della Biennale Paolo Baratta e del sovrintendente e direttore artistico de La Fenice, Cristiano Chiarot e Fortunato Colombina. Quindi, dopo questa esperienza Mariko Mori tornerà alla sua riflessione artistica, coniugando le tecniche visuali più moderne con la tradizione calligrafica dell’eleganza giapponese. Tuttavia, il suo lavoro per questa produzione di Bufferfly non riguarda soltanto la scenografia astratta e i costumi modernissimi. La concezione visuale, infatti, impregna la regia.
In questo come in numerosi altri lavori di Mariko Mori, “l’idea di base è l’unicità dei valori tra Oriente e Occidente, un grande messaggio culturale da trasmettere anche in un’opera lirica. Il punto essenziale di questa grande unicità culturale è che, sia nella cultura occidentale sia in quella orientale, la vita non finisce mai. La protagonista dell’opera pucciniana, come è noto, commette suicidio, ma dopo il hara-hiri riemerge come stupenda farfalla. Anche per gli altri protagonisti (Pinkerton, Sharpless, Suzuki, Goro, lo zio Bonzo, il ricco Shigomori) e comprimari c’è un’altra vita dopo la morte e ci sono state vite precedenti prima delle vicende narrate sulla scena. Per questi motivi, la scenografia è astratta e purissima”. Non aspettiamoci, quindi, la collina di Nagasaki con a distanza le ciminiere delle industrie nella zona del porto, ma unicamente elementi simbolici. “Inoltre non ci sono differenziazioni tra giapponesi e americani: tutti appartengono alla stessa umanità. La distinzione è tra sfruttati e sfruttatori. Quando avevo vent’anni, vissi una strana esperienza, un sogno inconscio di morte e rinascita; l’episodio mi fa comprendere la sua natura di essere vivente e spiega il fatto che in molte opere utilizzo la mia immagine. È anche la chiave di lettura per il mio approccio al dramma in musica di Puccini”.
Mariko Mori ha anche avuto un ruolo non secondario, specialmente con i suoi lavori degli Anni Novanta, nell’esprimere una visione critica della società giapponese, specialmente per i ritardi nel riconoscere un ruolo significativo alle donne. Nella Bufferfly de La Fenice, la protagonista è presentata come il personaggio “più forte” sulla scena, l’unica empowered di decidere su se stessa e gli altri. “Ciò viene accentuato dall’uso dei media e dell’immaginario caratteristico di una generazione giovane”. Molto presente anche il nesso tra bellezza e natura, sempre stilizzato e distante, culturalmente anni luci dalle oleografie di gran parte delle messe in scena del capolavoro di Puccini. Un capolavoro di cui si tende ad accentuare un verismo molto lontano dalla sensibilità di Mariko Mori.
Giuseppe Pennisi
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati