Il centenario dell’Arena di Verona
È iniziato il 14 giugno il 91esimo Festival dell’Arena di Verona, ossia la “stagione del centenario”, poiché l’anfiteatro - che sino al 1820 era stato adibito ad abitazioni e in epoca napoleonica a magazzini - ebbe la prima rappresentazione lirica (ovviamente “Aida”) nel 1913.
Prima del 1913, l’anfiteatro di Verona era stato adibito a spettacoli (ad esempio una grandiosa festa danzante per celebrare, nel 1822, la fine del Congresso di Verona) oppure ad attività sportive (corse di cavalli, ciclismo e anche ascensioni in aerostato). Non era mancato un tentativo di adibirla alla lirica, nel 1856, quando vennero eseguite le operine Il Casino di Campagna e La fanciulla di Gand dell’ormai dimenticato Pietro Lenotti e Le convenienze teatrali e I pazzi per progetto di Gaetano Donizetti. Si trattò di un evento sporadico. Dal 1813, l’opera trovò una casa permanente in Arena. Non c’è stata una stagione ogni estate perché all’inizio gli impresari furono titubanti; in due guerre mondiali, poi, Verona fu l’epicentro del conflitto: basti pensare alla “rotta di Caporetto” e al “processo” che prese il nome proprio dalla città veneta.
Occorre ricordare che l’utilizzazione di arene e teatri antichi caratterizzò la vita culturale italiana all’inizio del Novecento: l’Arena di Verona fece da battistrada. Pochi mesi dopo, il 16 aprile 1914, viene inaugurato il Primo Ciclo di Spettacoli Classici, secondo la denominazione dell’epoca, al Teatro Greco di Siracusa con Agamennone di Eschilo. Nel 1921 (ancora con Aida) veniva aperto alla lirica lo Sferisterio di Macerata. Non si trattava solo di una curiosità un po’ dannunziana (La Città Morta del Vate trovava la sua scena ideale nel Teatro greco-romano di Taormina) ma anche un modo di aprire l’opera e i classici a un nuovo pubblico.
Gli anfiteatri e i teatri antichi erano molto capienti (14mila spettatori a Verona) rispetto alle consuetudini dei teatri italiani (tranne poche eccezioni, costruiti per un migliaio di spettatori). Inoltre, stucchi e palchetti intimidivano parte del nascente ceto borghese, che però non voleva sedere nelle panche non numerate del loggione: così come nella società civile i “partiti di massa” sostituivano soggetti politici elitari (in cui le donne erano al più tollerate e il censo era elemento determinante), l’Arena di Verona fu l’antesignano dell’opera per le masse. I prezzi dei biglietti erano fortemente differenziati: dalle “poltronissime cuscinate” alle varie sezioni delle gradinate. Per circa un secolo, l’Arena è stata il teatro per le famiglie. In quanto tale, prediligeva il repertorio (specialmente quello che poteva essere spettacolare) anche se ha spesso ospitato Lohengrin in traduzione ritmica italiana e negli Anni Trenta pure opere e balletti contemporanei.
Prima di venire alla stagione del centenario vale la pena ricordare che nel secondo dopoguerra l’Arena era, in pratica, la succursale estiva del Teatro alla Scala; nel volume Antonio Ghiringhelli, Una Vita per la Scala, Vieri Poggiali ricorda come l’industriale- sovrintendente della Scala ospitasse, a spese proprie, artisti e corpo di ballo nella sua villa e tenuta sul Garda, in modo che in quegli “anni difficili” si potesse fare stagione in Arena. La “Milano-che-può” (così la si chiamava allora) si trasferiva in Veneto e incontrava amici che varcavano il Brennero e “weekendavano” (questo era il lessico) con loro a Cortina.
Questa estate Aida apre e chiude gli spettacoli areniani in due versioni molto differenti: la prima è una nuova produzione affidata a La Fura dels Baus, la seconda è una rievocazione dello spettacolo storico del 1913. Aida è diventata nell’immaginario popolare l’opera colossale per eccellenza, anche se è stata scritta per il vecchio Teatro dell’Opera del Cairo, un edificio con una capienza di 800 posti modellato sul Teatro Valle di Roma (l’italiano era la lingua franca alla Corte del Khedivé d’Egitto). Verdi pensava in effetti a un dramma in musica intimista in cui solo in alcune scene ci sono più di tre personaggi sul palcoscenico. Molto tecnologica la produzione della Fura, già replicata cinque volte sulle televisioni in chiaro (e vista anche in mondovisione); dal vivo è ovviamente ancora più spettacolare (pur se in numerosi punti è molto prossima al Ring wagneriano presentato dalla Fura a Firenze e a Valencia tra il 2006 ed il 2010). Delicata e graziosa come le figurine Liebling, la ripresa dell’allestimento storico che in questo ultimo quarto di secolo si è visto molto spesso (e sempre con successo in Arena).
La stagione del centenario presenta, oltre alla doppia Aida, titoli sicuri Nabucco con la regia di Gianfranco De Bosio, La Traviata vista da Hugo de Ana, Il Trovatore allestito da Zeffirelli, Rigoletto nella produzione di Ivo Guerra e Roméo et Juliette quale letto da Francesco Micheli, e il Requiem verdiano.
Si è messo l’accento sulle regie perché l’Arena è soprattutto spettacolo teatrale: l’inquinamento atmosferico ha danneggiato l’acustica di cui si favoleggiava un tempo. Dopo aver precisato che l’Aida da me preferita è quella allestita da Franco Zeffirelli al Teatro Verdi di Busseto (400 posti), cosa suggerire? Il Trovatore di Zeffirelli e Romèo et Julette di Micheli, due registi molto distanti non solo sotto il profilo generazionale ma che hanno saputo, con questi due lavori, estrarre il meglio dall’Arena. E dalla sua magia.
Giuseppe Pennisi
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