Il Padiglione Italia di oggi e di domani. Secondo Luca Rossi
Ogni due anni, alla Biennale di Venezia, nei principali padiglioni nazionali siamo abituati a vedere un solo artista, al massimo due. Ogni due anni l’artista cambia, in base a quello che è successo sulla scena del Paese nei due anni precedenti. E in Italia?
Dopo il 2001, e dopo il solito fenomeno Cattelan, cosa abbiamo avuto in Italia? La riproposizione di artisti storici come Pistoletto e Penone non vale. Quale potrebbe essere, pensando a questi ultimi due anni, un artista mid-career che sia italiano e il cui lavoro meriti un intero padiglione? Temo nessuno. Ecco la risposta. L’unico nome che mi viene in mente è Adrian Paci, ma è di origini albanesi, ed è in Italia da metà Anni Novanta.
Questa carenza non è responsabilità degli artisti, ma di un sistema inefficace. In Italia gli artisti rimangono giovani per sempre, eterni Peter Pan, idolatrati precocemente solo in patria e poi abbandonati. Lentamente spariscono con il sopraggiungere dei capelli bianchi. Questa assenza, questo vuoto è motivato da un contesto artistico privo di un confronto critico aperto, onesto, leale e capace. Fatto anche di progettualità differenti. Chi prova a uscire dal sentiero che bisogna percorrere per aspirare a “Gioni” viene isolato e disincentivato. Una dittatura del pensiero unico ben più grave, tremenda e subdola di quella subita da Ai Weiwei.
I motivi di ciò sono due e collegati fra loro: la carenza di una critica d’arte che sia capace anche di divulgare e l’assenza di un pubblico vero per l’arte contemporanea. In Italia mancano i critici, o anche solo persone realmente interessate e appassionate nell’approfondire i diversi percorsi artistici e promuoverli. Mentre ci sono tanti curatori che aspirano a fare gli artisti, possibilmente all’estero; una certa “esterofilia provincialista” ci spinge a guardare all’estero, a guardare fuori casa, quando abbiamo la casa che cade a pezzi. Manca apertura, lealtà e onestà intellettuale, al di fuori di alcuni clan amicali. Al di fuori di alcune relazioni privilegiate, non tanto diverse dalla mafietta delle famiglie italiane, sempre pronte a difendere i propri figli a oltranza, viziandoli e condannandoli. Non ci sono alternative perché non si sono coltivate: servono anni per costruire alternative. Pochi anni fa il lavoro di Yuri Ancarani era come oggi, forse migliore, ma galleggiava e non veniva considerato nel giro che conta. È bastato il “tocco ” di San Maurizio e in pochi mesi Yuri si è ritrovato al Guggenheim, alla Biennale di Venezia e nella scuderia della Galleria Zero… Stesso lavoro, pubbliche relazioni migliori.
Oltre all’assenza di un confronto critico leale, onesto e vitale, che vada oltre “l’essere amico di”, in Italia non esiste un pubblico per l’arte contemporanea. Questa assenza e questa distanza del pubblico hanno radici nella cultura passatista di questo Paese e nell’incapacità di coinvolgere il pubblico; ma anche in molti operatori che preferiscono tenere lontano e assente un pubblico che potrebbe diventare scomodo ed esprimere giudizi e opinioni fastidiose. Ed ecco i nostri musei, vere cattedrali nel deserto, insegne vuote dai nomi buffi, che sono lì solo per dimostrare, ostinatamente, la modernità della città, provincia o regione. L’assenza di pubblico significa assenza di riconoscimento politico (vedi le penose vicende tra Amaci e Mibac) e diminuzione dei fondi pubblici e privati.
Assenza di critica e pubblico disincentivano la formazione di artisti con percorsi efficaci, originali e incisivi. Basta confezionare un buono standard o scimmiottare la scena internazionale, e poi lavorare piuttosto sulle pubbliche relazioni. Questo fanno gli artisti italiani, e i Padiglioni dell’Italia degli ultimi sei anni ne sono il risultato. Assenza di critica e di pubblico rende deboli gli operatori anche capaci, ma che non hanno il sostegno e la forza per fare scelte autonome che si discostino dal mainstream o da quelle dinamiche sostenute dalle relazioni “giuste”. L’arte contemporanea in Italia è un teatro con una platea di soli addetti ai lavori; ognuno compiace il suo vicino, ma non collabora con l’altro, la mediocrità generale è l’ombrello sotto il quale ogni addetto ai lavori si sente al sicuro. Ogni proposta è vista come un modo per aumentare il proprio consenso, come fossimo in una campagna elettorale infinita, e non per collaborare alla crescita di un sistema. Non si è mai trattato di polemizzare o distruggere un sistema, quanto di stimolare internamente un confronto capace di vedere le problematiche e risolverle.
Bisogna iniziare da domani a costruire le premesse del Padiglione Italia 2015.
Luca Rossi
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