“Io non sono Fluxus!”. Intervista con Yoko Ono
Mentre il tumulto delle prime settimane di Biennale si affievolisce gradualmente, a Venezia è arrivata anche Yoko Ono, con un doppio appuntamento tra Palazzo Bembo e la neonata Fondazione Bonotto. Non abbiamo mancato l’occasione per una intervista.
Vestito nero e giacca bianca, cappello sulle ventitré e occhiali scuri, Yoko Ono (Tokyo, 1933) arriva a Palazzo Bembo per presentare la sua installazione Arising, parte della mostra Personal Structures, tra gli eventi collaterali della 55. Biennale di Venezia. Una pila di corpi in silicone bruciati presso l’Isola di Santo Spirito e accuratamente trasferiti in una piccola sala al primo piano del palazzo, dove trova anche spazio il video che ne documenta il rogo. Sulle pareti laterali, decine di fogli appesi raccontano storie di vita, storie di donne che hanno subito violenza e che ora offrono il proprio sguardo: una foto dei loro soli occhi, eloquente più di ogni parola.
Accompagnata dai giovanissimi curatori della mostra, che raccoglie oltre settanta artisti da tutto il mondo, Yoko Ono non ha esitato a descrivere le ragioni profonde della sua arte, chiarendo da subito il suo rapporto con il movimento femminista: “Il femminismo non è solo per le donne, ma per tutti noi, inclusi gli uomini. Perché se continuiamo a ignorare quello che le donne stanno passando, l’intera società ne subirà un violento squilibrio. Gli uomini devono diventare tutti ‘uomini del nuovo tempo’ e capire bene le ragioni di quello che stiamo facendo”. Uno dei primi tra questi “new age men” (che nel mondo attuale vanno sempre più aumentando) fu proprio John Lennon: “John si sentiva molto solo, per questo. Sperava di trovare un gruppo di uomini con cui poter parlare di queste cose. Ma ora la situazione è cambiata: è bello vedere in Central Park, a New York, uomini che spingono i passeggini dei loro figli. È una cosa naturale, oggi. Ma quando John lo fece per la prima volta, nessun uomo voleva farsi vedere in giro con un passeggino”.
Parlando più nello specifico della sua installazione a Palazzo Bembo, la performer/artista/cantante ha voluto sottolineare il grande valore dato all’interazione umana. Attraverso un appello pubblicato sul web, decine di donne hanno collaborato alla realizzazione dell’opera (e l’invito è aperto anche alle visitatrici della mostra): “Queste donne parlano con me e io parlo con loro: c’è uno scambio grande, e penso che potrà aiutarle a superare le loro sofferenze. Ho scelto di mostrarne solo gli occhi anche per proteggerle. Alcuni occhi sono spaventati, altri scioccati: la loro storia, tutto quello che hanno passato, è racchiuso lì dentro”. Il video del rogo dei manichini (evidente richiamo al supplizio delle “streghe”) è accompagnato dai suoi intensi gorgheggi (dal brano Rising, 1996), che mimano le sofferenze di una partoriente: “So che a molta gente questa mia voce non piace. Ma nella società ci si aspetta che le donne siano sempre carine, emettano suoni piacevoli e cantino belle canzoni. Ma le donne creano anche la razza umana: generano bambini, che è un atto difficile e pericoloso. È una cosa molto importante, molto più potente di un grande terremoto”.
Al termine della presentazione abbiamo avuto modo d’incontrarla per un breve colloquio privato. Nelle sue parole, il vivo impegno di una donna che ancora lotta per affermare la propria libertà di pensiero ed espressione (e che sembra non gradire troppo le categorie del critichese).
Ha già avuto modo di visitare la Biennale di Massimiliano Gioni? Qualche impressione o ispirazione particolare?
Non ho ancora visto la Biennale di quest’anno. Ma ci tengo a precisare che io sono un tipo di artista che si concentra unicamente su quello che vuole esprimere. È solo da lì che traggo le mie ispirazioni.
Ma allora qual è la cosa più importante nel fare arte?
La cosa a cui più tengo è creare un’opera che sia importante e che abbia sempre qualcosa da dare alle persone.
E nella vita?
La stessa cosa. Senza alcuna distinzione. La storia della mia vita è allo stesso modo la storia del mondo. Sono sempre cosciente che quello che metto nel mio lavoro artistico è la verità. E la verità è solo quella della mia esperienza.
Facciamo un piccolo gioco delle parole. Se le dico: ironia.
Io le rispondo che la mia vita è stata sempre piena di tumulti. Ma alla fine, a ripensarci, ne sono anche grata. Ok, quando soffri non ti piace, ma ogni cosa che mi è successa è stata una benedizione, nel senso che ha aggiunto qualcosa alla mia educazione.
Immaginazione.
Beh, dopo l’educazione viene l’immaginazione!
Condivisione.
La condivisione è qualcosa di cui ero spaventata all’inizio, ma ora ne vado pazza! Una cosa ti posso dire: la condivisione avviene anche quando non la stiamo facendo.
Nella sua arte, la partecipazione è una componente importantissima. E in questi ultimi tempi usa anche molto i social network, a partire da Twitter.
Ti spiego come mi è venuta l’idea. Stavo lavorando all’opera che è qui esposta. Sono un’artista, e come tale il mio sogno è creare un’opera perfetta, e poi dire che nessuno possa più toccarla, perché duri in eterno! [Ride, N.d.R.] Ma non c’è eternità in questo senso. Anche gli Egizi facevano sculture e piramidi che venivano consumate e distrutte dal tempo, dal clima, dagli eventi… Così ho pensato: prima che il cambiamento accada, devo includere il cambiamento dentro la mia opera. Bisogna chiedere alla gente di partecipare, spargere il più possibile la voce. E ora la mia arte trae così tanto potere dalle persone che non mi sembra vero.
Sempre a questo riguardo: come considera l’attuale evoluzione scientifica e tecnologica? Un pericolo o un’opportunità?
Rispetto molto gli scienziati: stanno facendo un grande lavoro per noi e per il nostro futuro. La combinazione del loro lavoro con quello degli artisti è di una potenza inimmaginabile.
Parliamo un poco di Fluxus. Molti anni sono passati da quelle esperienze: che cosa è sopravvissuto e cosa invece è cambiato?
Aspetta però, perché una cosa a cui tengo molto è non essere categorizzata. Io non sono solo Fluxus. Come la maggior parte degli artisti di Fluxus. Noi siamo semplicemente artisti.
Ma l’influenza di quelle esperienze è ancora percepibile, oggi…
Forse sì, ma ci sono anche nuove scuole che nasceranno, in relazione a quanto stiamo facendo adesso. E ora noi non stiamo certo esprimendo Fluxus, che è stata un’esperienza accaduta quarant’anni fa e oltre. Noi siamo qui, adesso! Quindi non ci dovete categorizzare con una vecchia scuola come Fluxus.
Qual è il suo consiglio per un giovane che esordisce oggi sulla scena dell’arte?
Il futuro è adesso. E anche io vi appartengo.
Il suo rapporto con l’Italia, e Venezia in particolare.
Ho esposto molte delle mie opere a Venezia. E anche nel resto d’Italia: è qui che porto i miei lavori migliori! [Ride, N.d.R.] Ho fatto mostre a Milano, Treviso, Trento… Ma è sempre bello avere una scusa per tornare a Venezia. E non ci vengo in vacanza, ma per lavorare. La gente dice che non trae più ispirazione da Venezia, ma per me non è vero. Io traggo ispirazione da Venezia addirittura senza esserci, anche solo a pensarci.
Progetti e speranze per il futuro.
Speranze per il futuro? Spero che creeremo una società migliore… Molta gente non ci crede, dice che c’è ancora la guerra. Ok, però sai cosa credo? Che alla fine il mondo non collasserà. E noi non dobbiamo più indulgere nel pensiero negativo. Perché la cosa sta diventando estremamente potente e pericolosa. Se vogliamo sopravvivere come razza umana, dobbiamo abbandonare il pensiero negativo.
Simone Rebora
http://www.imaginepowerarising.com/
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