Europa e politica culturale
Ci lamentiamo del fatto che l’Italia non è capace di mettere a punto politiche culturali efficaci, e che questo valga anche, a volte soprattutto, con riferimento alla promozione della cultura italiana all’estero. Ma un problema simile esiste per l’Europa nel suo complesso.
Le principali nazioni europee possiedono una rete di promozione e diplomazia culturale. Queste reti agiscono sulla base di una visione strategica precisa e il paragone con la nostra rete di Istituti Italiani di Cultura è quasi sempre impietoso. Ma un effetto paradossale del livello e della qualità di queste reti è proprio la difficoltà di mettere in piedi strutture analoghe capaci di rappresentare l’Europa, per quanto un ruolo importante venga ricoperto da Eunic, la rete degli istituti nazionali di cultura europei.
Questa lacuna produce un danno importante per l’Europa: in molti Paesi emergenti extra-europei, il modello culturale americano tende a essere accettato con difficoltà, se non esplicitamente rifiutato. Vi è in genere una forte spinta all’elaborazione di un modello culturale proprio, che può essere coltivato come forma più o meno sofisticata ed esplicita di “ingegneria culturale” secondo la logica del soft power. In questo sforzo di mettere la propria nazione sulla mappa del sistema globale di produzione culturale, i Paesi con meno esperienza nel campo tendono a cercarsi dei referenti.
L’Europa avrebbe un potenziale eccezionale da sfruttare, che produrrebbe conseguenze importanti non soltanto sul piano culturale, ma anche su quello della cooperazione economica e sociale. Ma, allo stato attuale delle cose, la speranza di assistere alla nascita di una vera politica culturale “estera” dell’Europa è destinata a rimanere un pio desiderio. E così la maggior parte dei sistemi culturali dei Paesi emergenti finirà per muoversi autonomamente o inserirsi in altri network.
Sarebbe quindi il momento di dotarsi almeno di una rete nazionale di diplomazia culturale all’altezza di quelle degli altri Paesi europei. Servirebbe alla crescita, a dare spazio a quelle generazioni che a parole si intendono sostenere e promuovere. E semmai si arrivasse un giorno a una rete comune, servirebbe ad avere un peso adeguato alla nostra rilevanza economica e culturale.
Pier Luigi Sacco
docente di economia della cultura – università iulm di milano
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #13/14
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