Quello con Lia Rumma è un rapporto consolidato che deriva dal periodo di Arte Povera ad Amalfi nel ’68. Vuoi dirci qualcosa su quei tempi?
Sono stati momenti… Beh, avevamo anche 45 anni in meno, che non sono proprio una manciata di minuti.
Soddisfatto della mostra?
Finalmente la vedo completa. Al secondo piano c’è anche un’opera che contiene un compasso da scultore, da marmista, che è stato fabbricato in Toscana… Guarda, vedi il fosforo? È la memoria.
E il mercurio?
Il mercurio non l’ho mai usato, è pericolosissimo. Il crepitio che senti è una scarica elettrica. Vedi là? Quella è una siviera, la portantina del crogiuolo pieno di bronzo fuso che va a riempire la valva della scultura. Quindi ho deciso, come già altre volte, che gli strumenti che lavorano per l’arte ne diventino i protagonisti.
Quello che metti in opera qui è un processo che possiamo rimandare alle azioni di Arte Povera, è un processo…
… no, la prego di assolvermi!
Non è un’accusa.
Naturalmente scherzavo. È il processo che arricchisce il sogno, che evolve in realtà.
È un processo di trasformazione della materia: in tutto ciò c’entra l’alchimia?
Non finirà mai, perché è un’illusione, perché è un sogno, ma è una realtà. Comunque non è solo alchemico. L’alchimia è la parte ambigua della chimica, è la parte più sognante, anche la parte più “negativa”, ma è la parte che dà più speranza, perché noi abbiamo bisogno di speranza. Ecco perché si fa arte, credo. E anche questo elemento aiuta. Esiste da sempre, dai sumeri, dagli antichi egizi, dai romani, dai greci, dai maltesi, dai siculi. Sempre il problema è fare ciò che prima non c’era e che deve dare speranza.
Rispetto alla realtà italiana di oggi, com’era la Torino degli Anni Sessanta?
Era una realtà di drammi sociali, certo, ma anche potenza e sogno: enorme! Il fatto che fosse la città più mescolata d’Italia, il fatto che riassumesse tutte le culture anche artigianali, tutte le mentalità, è stata una ricchezza enorme. Guai dimenticare tutto ciò, vorrebbe dire appannarsi la mente.
Per rimanere lucidi?
Abbastanza per poter dire: “Io, forse, sogno ancora?”.
La stella è simbolo di varie religioni…
È tutto quello che vogliamo, è la stella della politica e della religione, è il segno che ci guida nell’esplorazione e nel sogno. Ha una potenza inaudita perché anche lei ha migliaia anni di storia e stranamente contiene lo schema della forma dell’uomo.
L’uomo vitruviano.
Sì, però in tutto il globo l’uomo da sempre ha pensato a come utilizzarla: portandola giù. Conosce molti usi, è il simbolo più diffuso che esista. E io uso questa immagine meravigliosa e la faccio in terracotta, che vuol dire usare una parte piccolissima della nostra crosta terrestre… Uso anche il cuoio, perché la pelle è il nostro involucro protettivo, come la crosta terrestre… Siamo noi, potremmo esplodere.
La pelle è la pittura, i muscoli la scultura e lo scheletro l’architettura.
No, non mi dire così! Forse non è vero, è ancora da vedere. Non lo capiremo mai completamente.
E l’incandescenza, invece?
È la concentrazione di energia, è il pericolo, è l’esagerazione. Quando tu immetti energia su energia, si diventa incandescenti. Si va di potenza immaginaria, può sembrare stupida, banale, ma è la potenza della speranza. Mi stai seguendo?
E il liquido ai piedi della stella di sotto che cos’è?
È acido cloridrico e solfato di rame. Il rame unisce le due ciotole e scatta una meravigliosa batteria. E funziona. Certo che funziona, è un bagno galvanico, ma esiste da ben prima di Galvani, da 3-4mila anni
E le macchine per purificare le parole?
Alcool: tu parli e le parole escono purificate, parli, riparli, riparli, e sei ubriaco, è l’energia, in vino veritas.
Il liquido fosforescente?
È la memoria, la notte non porta la distruzione del giorno, ma è la memoria, di notte sogniamo. Il gesto del contadino che semina è lassù. Ed è una stella, è l’alter ego del sogno. Noi sulla terra camminiamo su una stella semispenta, perché i vulcani sono giù, sono qui.
Quel compasso da scultore lì si chiama maranghino.
Sì, invece lui, l’otre di pelle di maiale, si chiama marrano. I “marranos” erano gli ebrei e gli arabi convertiti, cioè tutti i semiti che dichiaravano di essere cattolici per salvarsi la pelle. Ma il marrano, contenitore di aria e di acqua, è la vita, ed è anche la ribellione. Il compasso chiuso alla fine si apre, perché il marrano si è gonfiato, cioè si è ribellato e vuole respirare libero.
Invece nell’altra siviera c’è il contenitore di pirex, che è il vetro in assoluto, il vetro che regge il calore. Le due siviere non portano dunque il crogiuolo da fusione, ma portano altri elementi. Ruotando s’incontrano e si raccontano le loro storie, non importa se per caso ce ne fosse una sola, l’importante è che continui il racconto, portando la speranza. Invece plasticamente parlando, se li guardi siamo noi a disposizione dello spazio, e al contempo siamo quelli che fanno lo spazio, ci troviamo proprio in mezzo a questa energia piccola e grande… Se riusciamo a percepirla.
Francesca Alix Nicoli
Milano // fino al 20 luglio 2013
Gilberto Zorio
LIA RUMMA
Via Stilicone 19
02 29000101
[email protected]
www.gallerialiarumma.it
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