La galassia video di Renato Barilli
Torna “Videoart Yearbook”, l’annuario della videoarte italiana. Ce ne parla Renato Barilli, che da poco ha pure pubblicato il suo ultimo libro, “Tutto sul postmoderno”. L’appuntamento è fissato per il 9 luglio al Chiostro di Santa Cristina di Bologna.
Alla vigilia dell’ottava edizione di Videoart Yearbook, Renato Barilli ci parla dell’ormai affermato evento culturale bolognese. Il plotone curatoriale – composto dallo stesso Barilli con Guido Bartorelli, Alessandra Borgogelli, Paolo Granata, Silvia Grandi e Fabiola Naldi – presenterà anche quest’anno una selezione di trenta video. Oltre alla confermata collaborazione di Video Zero, spetta alla Galleria FaMa di Verona introdurre l’evento. Alex Bellan e Davide Bertocchi sono infatti le punte di diamante dell’edizione 2013. Dell’evento e del libro abbiamo parlato col professore.
Dal 2006, appassionati ed esperti del settore attendono ogni estate il consueto appuntamento con Videoart Yearbook, attualmente una delle più rilevanti rassegne di videoarte in Italia. Cosa dopo otto anni conferma il successo di Videoart Yearbook? Com’è nata nel 2006 l’iniziativa?
Il nostro proposito fin dall’inizio è stato di evitare la visione distratta, cui sono costretti i visitatori di Biennali e Documenta che trovano tante salette immerse nel buio pesto in cui dovrebbero soffermarsi per decine di minuti. Invece noi i video li diamo in sequenza, l’uno dopo l’altro, chiedendo agli autori di concentrarsi in pochi minuti. Inoltre puntiamo sull’enorme varietà dei generi possibili, esistenziale, sociologico, folclorico, comico, e soprattutto sulla grande divisione oggi esistente tra video di registrazione del reale e altri di produzione sintetica in laboratorio, così da fare concorrenza ai cartoons e agli spot pubblicitari. Per consacrare questa molteplicità di tendenze ricorriamo all’ordine alfabetico, che così rimescola le carte e produce una piacevole varietà.
Nata circa a metà degli Anni Sessanta, la videoarte ha percorso un continuo viaggio in salita attraverso i suoi più grandi protagonisti. Lei fin dal 1969/70 (a partire da Gennaio 70 organizzata al Museo Civico di Bologna) ha testimoniato da vicino questo percorso creativo e sensoriale. Cos’è cambiato in quarant’anni di videoarte? Quali sono le novità della situazione attuale che il grande occhio di Videoart Yearbook tenta di mettere a fuoco?
Credo che in merito si debba fare qualche precisazione. Si dice che l’inventore della videoarte sia stato, proprio alla metà degli Anni Sessanta, Nam June Paik. Ma, senza togliere nulla alla sua indubbia grandezza, conviene precisare che da lui sono venute le videoinstallazioni, cioè non produceva il contenuto intrinseco al video ma lo prendeva come un “oggetto trovato” da inserire insieme a tanti altri elementi. È stato qualche anno dopo il tedesco Gerry Schum a produrre video specifici dedicati alla Land Art, ma lui stesso ha riconosciuto che sul posto girava con una cinepresa riversando poi la pellicola su nastro magnetico in studio. Si può quindi affermare che siamo stati noi, fine ’69-inizi ’70, ad andare negli studi o all’aperto per riprendere direttamente con telecamera le operazioni degli artisti, tra cui tutti quelli dell’Arte Povera, per proiettarli poi nella mostra bolognese Gennaio 70 a circuito chiuso. Naturalmente da allora il mezzo ha fatto enormi progressi, di cui lo yearbook vuole offrire un ampio repertorio.
È da poco uscito il suo ultimo libro, Tutto sul postmoderno, che raccoglie quattro lezioni da lei tenute presso l’Università di Antiochia nel 2012. Non si tratta di un discorso esaustivo sull’argomento, quanto di un’attenta analisi cronologica. In quale stagione del postmoderno rientra l’origine della videoarte?
A dire il vero, questo mio pamphlet, che tenta le vie dell’e-book, è molto ambizioso, vuole offrire un’ampia sistemazione storiografica di due abbondanti secoli di arte. Sono in genere un difensore delle etichette manualistiche, che distinguono tra arte moderna, da Leonardo agli Impressionisti, e contemporanea, da Cézanne a oggi, ma ahimé, nel discorso comune si confonde continuamente il moderno col contemporaneo, quindi propongo di abolire quest’ultimo termine e di sostituirlo con post-moderno, che per quel post indica subito qualcosa che viene dopo il moderno. Inoltre, come noto, sono un fervente sostenitore di McLuhan, quindi le origini del contemporaneo, pardon, del postmoderno devono fondarsi su un evento tecnologico, che si può trovare nei primi passi dell’elettromagnetismo, con il famoso esperimento di Galvani, rane morte che zampettano se attaccate a una griglia metallica, funzionando come accumulatori di energia elettrica. Da quel loro gesticolare post mortem è venuta l’espressione “essere galvanizzati”, e tali ci appaiono le figure di Füssli, di Blake, e anche del nostro Canova, quando dipinge in nero “con la mano sinistra”. Questa è l’alba del contemporaneo, ovvero del postmoderno, bloccata da un ritorno del moderno, da Delacroix a Monet, che col contemporaneo non c’entrano nulla. Finalmente il contemporaneo riparte in forze con le avanguardie storiche, da Cézanne in avanti, conoscendo un suo fulgido mezzogiorno o piena estate. Oggi siamo in una fase pomeridiana o autunnale, caratterizzata da un’estensione sempre più ampia dell’elettronica, con il video che ormai è divenuto strumento privilegiato e dominante, come il nostro yearbook sta puntualmente a dimostrare.
Elisabetta Allegro
Bologna // 9 luglio 2013
Videoart Yearbook 2013 – L’annuario della videoarte italiana
a cura di Renato Barilli, Guido Bartorelli, Alessandra Borgogelli, Paolo Granata, Silvia Grandi e Fabiola Naldi
CHIOSTRO DI SANTA CRISTINA
Piazzetta Morandi, 2
[email protected]
www.videoartyearbook.it
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