Beuys e gli artisti del silenzio. Intervista con Lucrezia De Domizio Durini
Una vita per l’arte e nell’arte. Mezzo secolo di sistema internazionale raccontato da uno dei suoi protagonisti. Il libro testimonianza di Lucrezia De Domizio Durini raccontato da sé medesima in una intervista esclusiva.
Un libro intitolato Perché è un libro che apre soltanto domande o è un “perché” che precede risposte?
Questo libro nasce dai ripetuti suggerimenti che il mio caro amico Harald Szeemann, conoscendo il mio spirito libero, mi incitava a scrivere affinché si comprendessero i mutamenti sociali e i cambiamenti culturali del sistema italiano. Il mio Perché è un romanzo di vita vissuta in prima persona nei 48 anni che hanno attraversato la mia esistenza nella società e nell’arte. Un libro bianco, quindi, senza critica né tantomeno giudizi. Il lettore secondo la sua filosofia di vita e di lavoro potrà dare il suo perché. Con questa titolazione ho messo in atto il rispetto che ho sempre avuto del pensiero altrui.
Il suo nome è legato indissolubilmente al rapporto con Joseph Beuys. Cosa resta di quel sodalizio nel 2013?
Resta nella storia dell’arte mondiale l’insegnamento e il messaggio del mio maestro Joseph Beuys, che continuerò a diffondere nel mondo fino alla mia morte con tutti i mezzi, affinché si comprenda il suo grande capolavoro della Difesa della Natura e la sua Living Sculpture.
Nel 2011 ha fatto una importante donazione al Kunsthaus di Zurigo. Perché proprio la Svizzera e proprio quel museo?
Ho donato nel contesto della mostra Difesa della Natura tutta la mia collezione privata di 300 lavori di Joseph Beuys al Kunsthaus di Zurigo per due precisi motivi. Primo fra tutti perché è stata rifiutata da cinque musei italiani sia la mostra che la donazione. Il secondo motivo è in diretta relazione con il primo, affinché la mia collezione sia custodita, visitata e protetta da uno fra i più importanti musei storici mondiali dove già nel 1992, dopo il contenzioso durato sette anni con il Castello di Rivoli, ho donato la regale opera Olivestone. In questo senso, nulla del mio lavoro andrà perduto.
Una parte del suo libro è dedicato a una serie di curatori come Celant, Corà, Bonito Oliva. E non sono certo sempre parole di condivisione…
Di questi curatori, come di tutti i personaggi che si incontrano nel mio libro, racconto solo e soltanto il rapporto diretto e i fatti inequivocabili che nel tempo sono accaduti tra me e le varie persone. A me non interessa la condivisione positiva o negativa. È il lettore il vero protagonista del libro.
All’inizio del libro racconta del suo recente trasferimento a Parigi. Cosa pensa dell’Italia contemporanea?
L’Italia è un unicum nel bene e nel male. È la mia patria, che ho amato tanto per la sua grande storia e la stupenda geografia, un Paese dove tutti gli uomini posseggono creatività, inventiva e gioia di vivere. Ma questa Italia non la amo più. È divenuta come un albero che ha le radici malate e che non potrà dare mai buoni frutti. La politica è la causa di questa grave malattia che, come un cancro con le sue metastasi, ha invaso e distrutto la mia Italia. A questa triste realtà va aggiunto che l’Italia purtroppo non è uno Stato laico e quindi la situazione peggiora sempre di più. Stiamo vivendo un momento storico in cui il virus del potere ha formato un esercito di uomini che tentano di compiere il genocidio di desideri, utopie, sogni, ma principalmente cerca di trasformare la libertà in una specie di autorità democratica, dove l’obbligo della corruzione parte dalla vanità del pensiero e rapidamente si estende al buon gusto, alle buone maniere e in tutte le sfaccettature della nostra vita quotidiana, invadendo dispoticamente anche l’arte e il sistema dell’arte. La crisi italiana è culturale, intellettuale ed etica.
Sui critici – in particolare mi rivolgo ai critici italiani assetati di potere – e sulle istituzioni del nostro Paese grava la responsabilità di aver contribuito, attraverso un comportamento obsoleto e compromissorio, alla perdita della dignità dell’artista e dell’uomo, dell’arte e della cultura. Si è sviluppata una sorta di fenomeno di gruppi di pressione dove gli interessi trionfano sulle loro aspirazioni e rivendicazioni, dove la trasparenza e la storia, la creatività e i valori sono stati sostituiti dall’egemonia della partitocrazia e dall’adattamento all’immagine massmediologica, dove le strategie politiche e il potere capitalistico italo-americano gestisce l’arte e la vita quotidiana dell’uomo.
Il futuro dell’arte nel nostro Paese: vede artisti, critici, curatori che le stimolano interesse?
L’arte è una forma alternativa libera dell’esistenza umana, il luogo dell’essenzialità e delle tensioni assolute, dove l’artista non riproduce il visibile ma rende visibile attraverso i vari linguaggi la sua stessa anima. Vi sono uomini che non credono al valore terapeutico dell’arte. Sono una persona ottimista e quindi ho moltissima fiducia negli artisti, solo negli artisti, poiché loro sono stati i miei sponsor culturali, ai quali devo la mia esistenza nell’arte e oltre l’arte. Pertanto ritengo che l’artista oggi abbia un ruolo chiave nella trasformazione sociale.
Una responsabilità che dimostra la propria sostanziale necessità. Un potere che coglie, trattiene e dà forma all’umanità. È questo il compito dell’artista, perché l’arte si nutre di ciò che la società condanna, esclude, accantona e dimentica.
L’artista è colui che pone l’arte a svolgere la funzione centrale della nostra vita, una funzione che cambia innanzitutto il nostro modo di vivere, di pensare, di vedere. Un mutamento di dinamicità e di apprendimento radicale e senza fine. La zona intellettuale dell’artista gioca un ruolo importante nello scorrere e nell’evolversi del tempo, un ruolo che illumina le menti confuse e ottenebrate, svela il segreto dell’arte e indica la strada ai viaggiatori erranti.
Qual è la sua valutazione dello stato di cose attuali?
Siamo veramente molto stanchi di vedere artisti che ripropongono il déjà-vu delle televisioni, gli avvenimenti delle strade, delle pubblicità e delle riviste alla moda. Spodestando personaggi e fatti storici, sigillano la loro arte malata con il consenso di quella critica di potere venduta al sistema politico o al capitalismo italo-americano. Siamo disgustati dalle false innovazioni, dai riciclaggi. Bisogna cambiare radicalmente il sistema dell’arte. Sono d’accordo con Benjamin: “Tra i grandi creatori ci sono stati sempre gli implacabili che per prima cosa facevano piazza pulita”.
Quanto radicalmente?
Per secoli il sistema dell’arte ha concepito e istituito categorie e metodi, ha circoscritto artisti, intrappolandoli in una struttura di rappresentazione comunitaria. Dall’Impressionismo alla Pop fino all’Arte Povera e la Transavanguardia. Cosa è accaduto, o meglio, cosa ancora accade? Nelle posizioni iniziali, gli appartenenti al gruppo tendono a legarsi per acquisire quella forza subalterna che unisce gli uni agli altri. Il dominio del gruppo è sottoposto sempre al potere del critico che, esorcizzando contenuti e valori di ogni singolo artista, esercita sovranità e autorità di totale diritto giurisdizionale sull’intera rappresentazione del gruppo, classificandola come sua creatura. Il potere del critico si fonda sull’insicurezza dell’artista, che vede nel critico vox populi, vox dei… In questo senso, vive la seducente follia della gloria in cui la fragilità del successo conduce il gruppo a disgregarsi, a una dolorosa necessità di far trionfare ognuno le proprie aspirazioni. Conduce all’innaturale della guerriglia, dove le armi della tattica e delle strategie, elevate a radice quadrata, svelano l’artificio e rivelano inconfutabilmente che “la verità non è nei sistemi ma nella realtà” (Beuys).
In questo senso, l’arte e la cultura del XXI secolo esige una evoluzione, una rottura radicale con il sistema dell’arte che negli ultimi decenni si è impregnato di abuso di potere. Alcuni artisti hanno deliberatamente scelto il silenzio, perché il silenzio è anche logos ed è proprio in questo tessuto di silenzio e parola che hanno lavorato per creare un sano, benefico linguaggio, continuo e irrefutabile, emesso dalla profondità dello spazio e del tempo dove vive e convive il loro grande segreto: l’acustica dell’anima. Io li chiamo gli artisti del silenzio. Appartengono a una visione aperta e mai circoscritta a metodo. Sono artisti di differenti nazioni, differenti stati generazionali e di diverse ricerche, legati da un forte senso di reciproca libertà e di scelta di un lavoro profondo, che porta in sé il confronto e il rispetto dei principi fondamentali dell’uomo e della sua madre natura. Posso dire che ho creato una specie di silenzioso movimento: gli artisti del silenzio sempre aperto a nuovi incontri. Posseggono in comune un pensiero forte e un messaggio di rinascita sociale, etica, culturale ed economica. Con questi artisti promuovo mostre, scrivo libri e da operatrice culturale tento di diffondere il loro pensiero con qualsiasi mezzo. Il rapporto è sempre alla pari: apprendo e insegno. L’arte del terzo millennio ha necessità di un cambiamento di rotta a 360 gradi. L’artista oggi deve essere a servizio della società.
Marco Enrico Giacomelli
Lucrezia De Domizio Durini – Perché. Le sfide di una donna oltre l’arte
Mondadori, Milano 2013
Pagg. 320, € 15
ISBN 9788837094720
inlibreria.inmondadori.it
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