Il museo del futuro. Intervista con Michele Lanzinger, direttore del Muse
La scienza trova casa alle pendici delle Dolomiti trentine. Fra critiche e speranze si è inaugurato il Muse, il nuovo Museo di Scienze di Trento progettato da Renzo Piano. Ambiente e architettura si fondono in una “montagna” artificiale da 70 milioni di euro.
Lo sguardo è incantato, come quello dei bambini all’ingresso di Disneyworld. L’attesa è lunga e trepidante, come quella del concerto della vita. Non capita spesso di vedere certe cose da queste parti, non in Trentino. È da settimane che in città si parla della “montagna” di Renzo Piano. La curiosità è alle stelle. Anche nei bar di città, giovani e non discutono dell’evento dell’estate: l’inaugurazione del Muse, il nuovo Museo di Scienze di Trento; una meraviglia da 70 milioni di euro. La voce dei trentini non si è fatta attendere: c’è chi parla di spreco inutile, chi di un catalizzatore economico e chi, infine, pensa che il museo di scienze sarebbe dovuto rimanere nella vecchia sede. Abbiamo visitato il Muse nel giorno dell’inaugurazione e, per capire meglio come funzionerà, abbiamo fatto alcune domande al suo direttore, Michele Lanzinger.
Il Muse ha ufficialmente aperto i battenti. Com’è andato il primo giorno?
Molto bene. Il museo ha aperto ufficialmente oggi [martedì 30 luglio, N.d.R.] con 1.387 visitatori. Per quanto riguarda l’inaugurazione, invece, possiamo stimare che nelle ventiquattro ore c’è stata un’affluenza generale di 20mila persone. La città di Trento non aveva mai avuto un evento collettivo così partecipato. Abbiamo pensato a un’inaugurazione diversa dal solito: oltre ai vari concerti e spettacoli nell’area antistante, è stata molto apprezzata l’idea di tenere il museo aperto 24 ore consecutive. Si sono registrati utenti a tutte le ore del giorno, perfino all’alba c’era gente.
Diciamolo: più che un museo è una scommessa, per Trento e l’Italia. Come pensate di vincerla?
Vorrei precisare: io non posso scommettere con le risorse pubbliche e con la responsabilità sociale. Ci sono sicuramente delle scelte su cui siamo orientati. L’inaugurazione non è stata un punto di arrivo ma di partenza, abbiamo i piedi ben saldi per terra; offriremo non solo un museo bello da vedere, ma soprattutto una serie di attività che renderanno il fruitore primo protagonista del Muse. Questo faremo: dare sempre un buon motivo per venire da noi.
La firma di Renzo Piano è un plusvalore. Non crede che questo sarà per molti, forse, il primo motivo per venire a visitare il Muse?
È evidente che un architetto della rilevanza di Renzo Piano può costituire un motivo di attrattiva in più. E nel caso di un museo scientifico, che spesso è giudicato “per cose da bambini”, la firma di Piano ci aiuterà ad allargare il target d’utenza. Sono felice che l’amministrazione provinciale abbia scelto lui: un grande architetto in grado di dare equilibrio tra spazio e ambiente.
Settanta milioni di euro per un’opera imponente. Non crede che, con tutti i soldi versati dalla Provincia di Trento, il Muse abbia monopolizzato il settore culturale trentino?
Bisogna parlare, intanto, di due grandi categorie di soldi pubblici spesi. Una prima categoria sono le spese d’investimento, che sono le realizzazioni. La seconda sono i costi di gestione, quantificabili in 8-10 milioni di euro l’anno. Il primo caso è un investimento inevitabilmente consistente, il quale tuttavia è stato spalmato nell’arco di trent’anni. Questo vuol dire che ci sono delle quote annuali di due milioni e mezzo di euro per i prossimi trent’anni. Se analizziamo questi dati, il Muse costa ogni anno un cappuccino e mezzo a cittadino.
I costi di gestione, invece, non sono molto diversi da quelli per il vecchio museo di scienze.
Inoltre, la nostra attenzione sui fondi europei è alta (abbiamo già preso un progetto da 3 milioni di euro). Senza dimenticare attente campagne di fundraising.
Quale sarà l’impatto sul territorio, in termini d’indotto economico: posti di lavoro, investimenti monetari e ritorno finanziario…
Nel 1988 eravamo ventiquattro persone, di cui tre laureate. Oggi siamo centoventi, di cui ottanta laureati. Di fatto il Muse è una grande macchina di occupazione, l’età media dei nostri dipendenti è 34 e mezzo. La maggior parte dei nostri fondi sono investiti in risorse umane. Prevalentemente siamo una corporazione giovanile che va controcorrente, visto che i lavori intellettuali non trovano risorse per i giovani.
Come si spiega la totale assenza all’inaugurazione delle massime cariche dello Stato?
È stato un weekend pesante per la politica italiana, ma non sono minimamente preoccupato. Li inviteremo in un secondo momento.
Come manderà avanti la macchina Muse? Con quali strategie? Si parla di almeno 200mila visitatori l’anno per stare nei costi, il doppio della cittadinanza di Trento.
Nello studio di fattibilità del 2003 abbiamo preventivato 160mila visitatori. Arrivare a 200mila non è facile: parliamo di 666 visitatori per 300 giorni di apertura, e non è poco. Cercheremo di fare i numeri promessi. Stiamo puntando molto sul marketing territoriale e abbiamo lanciato una vasta campagna pubblicitaria. Vogliamo realizzare un’offerta variegata, unire turismo e cultura.
Non soltanto cultura e scienza, ma anche ricerca. Ce ne parli.
I musei scientifici sono sempre stati luoghi di ricerca: a Londra ci sono 400 ricercatori, a Parigi 380, a Bruxelles 120, da noi 50-55; però siamo uno dei pochi musei in cui si studia la paleontologia, la geologia delle Dolomiti, l’astrofisica e la zoologia. Inoltre partecipiamo alle campagne per capire le cause dei cambiamenti climatici. Tutti questi tipi di competenze ci permettono di trasferire conoscenze di prima mano, e quindi essere un museo che interpreta, fornisce e scambia informazioni di qualità. È come avere un ricercatore di storia dell’arte tra i curatori di un museo.
Perché oggi si punta più al museo-contenitore che al suo contenuto? Non c’è il rischio di trasformare luoghi di cultura in un mix tra parco divertimenti e centro commerciale?
È una questione di tendenze: dal caso Guggenheim di Bilbao è cambiato il modo di concepire il museo. Si è così disarcionata la vecchia visione di museo, per fare posto a un modello del tutto nuovo. Dunque, credo che il super architetto, il bell’edificio, i buoni allestimenti, la logistica di qualità e anche la ristorazione e lo shopping facciano ormai parte di questa nozione di bello e contemporaneo della società occidentale. I musei di oggi sono l’espressione della società contemporanea.
Per un museo di scienze è più difficile captare utenti, a differenza, ad esempio, dei vostri vicini del Mart di Rovereto?
Lasciateci lavorare 6-7 mesi, e poi rifateci questa domanda.
Chiudiamo con una domanda a bruciapelo: il primo motivo per visitare il Muse?
La facilità con cui l’insieme riesce a emozionare.
Paolo Marella
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