In memoria di Paolo Rosa. L’esperienza di Studio Azzurro
Persona di fondamentale importanza all’interno del gruppo Studio Azzurro, artista e teorico, voce narrante, interfaccia con il mondo artistico contemporaneo, Paolo Rosa ci ha lasciati il 20 agosto. Una grande perdita per l’arte e per i suoi amici. Il ricordo di Silvia Bordini.
Paolo Rosa è stato il sostenitore di un punto di vista umanizzato delle nuove tecnologie attraverso l’esercizio di un’arte diversa che, proprio sulle esperienze dei linguaggi delle nuove tecnologie, basa un rinnovato rapporto con il pubblico. “Gli strumenti, i linguaggi, i dispositivi della tecnologia formano un sistema simbolico che determina un punto di vista (o di vita?) su una realtà che essi stessi hanno, in modo decisivo, contribuito a mutare”, ha scritto in Rapporto confidenziale su un’esperienza interattiva; un testo breve e densissimo (fra i tanti suoi scritti) sulle video ambientazioni interattive che dal 1994 impegnano il gruppo Studio Azzurro.
Fondato nel 1982 come Collettivo militante di controinformazione, Studio Azzurro lavora dal 1994 alla creazioni di “ambienti sensibili”; opere che utilizzano una mescolanza di risorse tecnologiche e linguistiche per proporre una particolare relazione, intenzionale e reciproca, tra opera e spettatore (e artista), ponendo in atto non degli oggetti, ma situazioni che configurano, un’esperienza partecipativa, psichica e fisica. Le opere dell’arte interattiva richiedono come condizione della propria esistenza un completamento da parte del pubblico, che è indotto a intervenire, interpretare, modificare in tempo reale immagini e suoni secondo modalità che possono essere molto varie, ma che tendono tutte ad approfondire il tracciato di una identità nuova dei concetti stessi di rappresentazione e di comunicazione, di immagine e di relazione con l’immagine.
In connessione con la varietà di orientamenti che puntano a “uscire dal quadro” e dai luoghi deputati delle gallerie e dei musei, a mettere in discussione il ruolo dell’artista e quello del pubblico, a cercare un più diretto, immediato e anche effimero rapporto fra arte e vita, i lavori del gruppo mirano a decostruire la dimensione statica, finita, unica, immodificabile e contemplativa dell’opera e – nello stesso tempo – a costruire un coinvolgimento polisensoriale, che attraversa il corpo, il vedere e l’udire, la presenza fisica, il toccare. Un sentire fisico ed emotivo insieme, nel contesto dell’immaterialità delle nuove tecnologie.
Come Paolo ha raccontato instancabilmente in moltissime occasioni – tra mostre, dibattiti, presentazioni e lezioni – negli ambienti sensibili la dialettica tra opera, artista e spettatore è condotta secondo modalità leggere, distanziate dal diretto contatto con macchine e dispositivi; utilizzando tecnologie sofisticate ma invisibili, Studio Azzurro invita a vivere le immagini attivandole con atti comuni, istintivi (“interfacce semplici, sistemi amichevoli“, come afferma Paolo Rosa), che comunque introducono a una dimensione di sorpresa e fantasmagoria; toccare su un tavolo degli oggetti che si spostano e si trasformano (Tavoli – perché queste mani mi toccano?, 1995), calpestare corpi immersi nel sonno che, senza destarsi, si agitano grevi e immemori (Coro, 1995), soffiare su paracadute luminosi e transeunti come nuvole per far volare angeli senza ali (Il soffio sull’angelo, 1997).
Proprio attraverso la tecnologia si mette in atto una liberazione del corpo e del gesto dai vincoli e dalle indicazioni della macchina. “Le figure si muovono senza più cornici, fuori dai perimetri astratti e luminosi dei cinescopi, ma anche degli spazi convenzionali dell’inquadratura, si confrontano con superfici differenti, si ritagliano proprie nicchie da cui comunicare“, scrive Paolo Rosa, impegnandosi a definire e spiegare le scelte di Studio Azzurro sull’interattività dal “punto di vista esclusivo dell’arte“: dalla creazione di spazi di fruizione collettiva attraverso interfacce naturali alla ricerca di intrecci narrativi nel contesto audiovisivo e multimediale; dalla sensibilizzazione di una relazione aperta tra persone, opere e strumenti, alla definizione del sistema simbolico formato dai dispositivi tecnologici; dal carattere “eventuale” dell’opera a quello di esperienza; dalle regole al caso, dalle reazioni comportamentali all’assunzione di responsabilità di pubblico e artisti, dai desideri al gioco.
Di queste e altre articolazioni della poetica, della tecnologia, dell’impegno collettivo del suo gruppo, Paolo è stato un elemento portante, sensibile ispiratore, interprete profondo, sempre disponibile a dialogare e a mettersi in discussione. E non va dimenticato che il suo discorso sull’espansione della condizione emotiva favorita dall’atto interattivo, l’aspetto relazionale in chiave ludica e amichevole e quella che egli definisce “componente di sogno” , poneva all’arte un interrogativo in qualche modo eversivo, o quantomeno alternativo, rispetto ad alcune tendenze dominanti nell’ultimo decennio del secolo, tra concettuale e post-human.
Silvia Bordini
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati