Design lieve. Intervista con Italo Rota
Una sorta di teoria della decrescita dell’edificare è quella contenuta negli scritti di Italo Rota raccolti in questo volume edito da Quodlibet con Abitare. Saggi accompagnati da molti disegni, spesso inediti, realizzati col mouse. Del libro e di altre questioni abbiamo parlato con l’autore.
La sua grande attenzione al tema del disegno come espediente narrativo come influisce sulla creazione nelle diverse scale, dal design all’architettura?
Ho sempre usato il disegno come uno strumento per comunicare il pensiero, ma quelli contenuti nel libro sono disegni dal carattere diverso, privati, direi quasi notturni. Tutti coloro che fanno mestieri legati alla creatività disegnano, l’immaginazione stessa è un disegno. Dopotutto, in passato alcuni galleristi e poi i musei hanno presentato i disegni di architettura come un’attività autonoma dalla costruzione, come un problema narrativo che va da Le Corbusier a Léon Krier fino ai renderesti odierni.
I segreti per un allestimento “perfetto”: sostanza o apparenza?
Un allestimento è perfetto solo quando si crea un’alchimia perfetta fra contenuto, contenitore e storia da raccontare, ma questo accade solo per chi ha la fortuna di potersi occupare di tutti e tre questi aspetti, cosa assai rara in verità, mentre l’allestimento in sé è poco interessante.
A partire dalla sua concezione erudita dell’architettura, scritta e disegnata ancor prima che costruita, quali sono le differenze riscontrabili tra la visione italiana e quella all’estero? Al di là dell’indolenza burocratica del nostro Paese e del suo continuo ritardo nell’avvicinarsi al contemporaneo, esistono ancora differenze sostanziali nell’approccio concettuale al fare architettura?
Penso che oggi ci sia una grande differenza tra chi si diverte, da noi o all’estero, e chi ha paura, come molti in Italia… La paura più grande è quella di trovare lavoro, una paura così forte che spesso è difficile persino parlarne.
Nella sua carriera è stato insegnante prima e direttore ora (NABA e Domus Academy). Quanto considera importante per gli studenti una formazione mirata, considerando che i grandi maestri del design erano architetti o non erano laureati? Quanto è importante per lei “insegnare il design”? È come tramandare di padre in figlio un antico mestiere?
Oggi insegnare design significa occuparsi di una serie di verbi coniugati al futuro su tematiche fondamentali: come mangeremo, come ci muoveremo, lavoreremo ecc. Tutto questo è molto diverso, mi pare, dal tradizionale passaggio di consegne padre-figlio proprio dell’artigianato.
Naba e Domus Academy sono dotate di laboratori attrezzati che consentono agli studenti di realizzare ogni tipo di prototipo e di stare al passo con il proliferare dei fablab. Tra autoproduttori/makers e designer vede una grande differenza o sono tutti una grande famiglia?
Più che questa differenza credo occorra capire se quello che facciamo serva agli altri umani, se i manufatti che produciamo servano o meno a sviluppare nuove economie e se tutto questo generi nuove ricerche secondo un circolo virtuoso, tutto qua.
Un bilancio dell’esperimento della scuola gratuita Tam-Tam.
Tam Tam [la scuola nata da un’idea di Alessandro Guerriero, Riccardo Dalisi e Alessandro Mendini ospitata alla NABA, N.d.R.] è un esperimento interessante supportato dall’esperienza di persone diverse che producono oggetti eterogenei a cui guardiamo con grande curiosità, ma sono in una fase iniziale e dagli esiti ancora imprevedibili.
Valia Barriello e Giulia Mura
Italo Rota – Cosmologia portatile. Scritti, disegni, mappe, visioni
Quodlibet-Abitare, Macerata-Milano 2013
Pagg. 264, € 23
ISBN 9788874624850
www.quodlibet.it
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