Terry Gilliam, il senso della vita
Il suo “Zero Theorem”, in concorso alla 70. Mostra del Cinema di Venezia, affronta il senso della vita in un mondo che è la caricatura disvelante di una realtà avviatasi sulla china di un crescente edonismo giovanilista e disimpegnato. Un uomo soltanto, l'ultimo uomo di fede, risale la corrente mettendo mano al teorema che dimostri l'inutilità del tutto o il senso di ogni cosa. Dopo aver firmato “Brazil”, uno dei capolavori della storia del cinema, il Premio Oscar Terry Gilliam ha portato in Laguna un film che fa i conti, oltre che con l'universo e con le derive della società attuale, anche con il proprio capolavoro diretto nel lontano 1985. Ne abbiamo parlato con il regista.
Trent’anni fa circa, con Brazil, affrontava una certa idea di futuro. Oggi sono cambiate molte cose.
Mi pare che il futuro si sia girato e stia tornando indietro. Ci ha raggiunti prima che fossimo noi a raggiungere lui. Ormai viviamo nel futuro ma non lo sappiamo. Crediamo di essere nel presente, ma il presente è così veloce che non ti lascia il tempo di twittarlo.
Nel film, la comunicazione e l’interattività hanno un ruolo centrale. Quale rapporto ha con le nuove frontiere, come twitter?
Trovo che sia un’orribile abitudine. Mia madre mi ha sempre detto: se vai su twitter diventi cieco.
E facebook?
Anche.
Forse c’è un suo fake su fb…
Sono io il mio fake. E non sono nemmeno l’uomo che ero questa mattina.
Lei ha dichiarato che una sua fonte d’ispirazione è Neo Rauch, l’artista tedesco. Questo film però sembra più debitore a LaChapelle, per la quantità di colore scanzonato e ultrapop che è capace di accogliere.
Brazil era molto dark, qui volevo invece tratteggiare una società più gaia, giovanile, nella quale la gente gioca, ama e si diverte: un mondo con tanto shopping, luci e colori, e nel quale un unico uomo si trova a disagio, cercando di evitarlo per concentrarsi nel compito di trovare il senso della vita.
Il teorema zero è la dimostrazione matematica assoluta della più completa inutilità dell’universo e quindi della mancanza di senso della vita, non soltanto umana. Con quale intento ha pensato questo film?
Vorrei che stimolasse le persone a cercare il significato della propria vita in solitudine, lasciando perdere twitter e tutto il resto. Per dire a ciascuno: allontanati per un momento, cerca di stare da solo e scopri chi sei.
Lei ha trovato il suo buen retiro in Italia, in Umbria.
Sì, ci vado spesso, vi trovo la solitudine che mi serve.
Cosa le piace del mondo di oggi?
Il mondo è un posto fantastico, meraviglioso, ma voglio concentrarmi sugli aspetti negativi, nella speranza che si possano migliorare.
Nel film, Batman appare come redentore del futuro: perché?
Dio mi è apparso una notte in sogno e mi ha detto: ho fatto un errore, avrei preferito Batman come figlio, invece di Gesù. Lui è stato troppo gentile e delicato.
Le appare spesso Dio in sogno?
Quando lo vedo, di solito scappo. Sta cercando di distruggere tutti i miei film.
Magari tagliandole i budget. Come si fa cinema, oggi, senza soldi?
Per prima cosa serve un gruppo affiatato di amici professionisti disposti a lavorare con te per pochi spiccioli. Poi basta andare a Bucarest, dove puoi girare bei film a prezzi bassissimi. La cosa sorprendente è che le condizioni d’indigenza ti spingono a prendere decisioni più originali di quelle che hai pensato scrivendo il film. È interessante anche il rapporto con la troupe: le idee rimbalzano da una mente all’altra e poi trovano il loro posto nello schema finale del film.
Sta svelando il segreto della sua originalità, l’ingrediente segreto, ovvero la povertà di mezzi?
Ce l’ho messa tutta per essere mediocre, ma occorrono tanti soldi per esserlo.
Come mai il suo rapporto con le case di produzione è così difficile?
Perché a me interessa raccontare cose che interessano poco agli Studios. Non mi interessano i robot assassini, i mostri marini o gli alieni. E mi sono stufato di vedere gente che fugge dalle esplosioni. Voglio fare film sul mondo reale, che siano possibilmente piacevoli e toccanti.
Il Don Chisciotte, il film che ha in lavorazione da sempre, a che punto è?
È alla sesta o settima versione. È un film che viaggia come una barca in un oceano in tempesta. Esce in mare, subisce i danni, torna in porto e riparte.
Lei ha iniziato come grafico, cartoonist e disegnatore. Celebri sono le animazioni dei Circus di Monty Python. Continua a disegnare?
Soltanto biglietti di auguri per mio figlio o mia moglie, o magari per Natale. Ma se continuano a tagliare i budget dei miei film, tornerò.
Come è avvenuto il passaggio dalla comicità surreale di Monty Python al suo cinema visionario?
Con i Python eravamo abituati a una comicità per sketch, ho sentito il bisogno di sviluppare una narrazione più ampia. Python dava una visione satirica del mondo, ma nei miei film esprimo una visione più tragica.
I Python hanno segnato un’epoca, come ce l’avete fatta?
È stata fortuna, la BBC del tempo era molto liberale e ci lasciava fare. Ci davano sette episodi da realizzare e se funzionavano ce ne facevano fare altri. Ciò ha permesso di sviluppare il nostro lavoro e far aumentare i nostri fan.
Siete stati finanziati bene.
Abbiamo avuto l’ulteriore fortuna di essere finanziati da star come i Led Zeppelin, Pink Floyd ed Elton John. E alla fine il film ha avuto successo.
Come è diventato regista?
Avevo fatto la co-regia, con Terry Jones, del Sacro Graal. La produzione mise il mio nome in locandina come regista. Dopodiché ho soltanto dovuto imparare a fare il regista.
I rumors dicono che avrà un ruolo nel nuovo film dei Wachowsky.
Mi hanno chiesto di recitare la parte del burocrate, visto che nel loro film ci sarà un omaggio a Brazil. Mi piaceva anche l’idea di partecipare a un film il cui budget supera i 150 milioni di dollari.
Nicola Davide Angerame
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati