Architettura nuda #8. Franco La Cecla
Ottava puntata della serie di articoli ispirata al testo “Nuda architettura” di Valerio Paolo Mosco. In questo numero ospitiamo un antropologo, Franco La Cecla, il cui lavoro da tempo indaga quel territorio in cui l’architettura incontra l’antropologia e le scienze umane. La Cecla è noto tra gli architetti per il suo “Contro l’architettura”, un libro il cui titolo è deviante, in quanto intende una parte dell’architettura, quella prestazionale e disattenta ai bisogni non solo funzionali degli abitanti.
Credo mi sia successo una volta o due e faccio fatica a raccontarlo, ma quelle volte che mi è successo è stato come squarciare un velo, trovarsi di fronte ad una evidenza che non aveva parole ma solo spazi. La prima volta avevo preso in prestito la macchina di mio padre e volevo esplorare il sud, l’altro sud, quello a nord della Sicilia. Così da Palermo ho attraversato l’isola e poi sono salito lungo le Calabrie fino a raggiungere la Basilicata. Mi ricordo perfettamente quando mi sono affacciato dall’alto della piazza della nuova Matera sul Sasso Barisano. È stato come se mi fosse caduto “il prosciutto” dagli occhi. Davanti a me c’era qualcosa che si imponeva con la sua evidenza, come può farlo la cima di una montagna, il rincorrersi imponente di onde che si frangono su una scogliera, una immensa pianura interrotta da arbusti.
Ho capito allora che l’architettura non è un tentativo casuale di costruire qualcosa, ma è qualcosa che preesiste a questo tentativo, un affermarsi dello spazio che non ha bisogno di parole e nemmeno di progetto, ma assume una giustezza che è quello che ci vuole qui, adesso. E i Sassi che io ho visto erano abbandonati da vent’anni, però ugualmente si imponevano a qualunque tentativo di spiegarli. La mia vista non li conteneva, e soprattutto mi sfuggivano i dettagli, ed era un mondo di milioni di dettagli. Ho capito cos’è l’astigmatismo e a che serve, a capire qualcosa che gli occhi non riescono ad afferrare. Gli spazi non sono fatti per la vista ma per altri sensi e ti viene un prurito impossibile se cerchi di afferrarli con gli occhi. Nei dettagli di un mondo costruito ti puoi solo immergere con tutto il corpo e passarci in mezzo, sentire cosa quell’angolo sfiorato sussurra allo stipite sotto cui stai passando. È successo e poi la mia percezione generale è cambiata completamente, c’era una evidenza, un essere così del mondo abitato che ho cercato altrove e ho trovato raramente con la stessa forza.
Devo ammettere che è successo un’altra volta, dopo esperienze analoghe a quella di Matera per posti magnifici come Ragusa Ibla, Scicli, Modica, è successo in un luogo altrettanto forte a Porto, in Portogallo. Non solo la città con il suo mare e il suo fiume, i livelli, gli abissi, le coste, ma inaspettatamente una architettura. Scettico mi son trovato di fronte alla Casa da Musica costruita da Rem Koolhaas in una piazza al margine della città. E qui ho avuto la stessa sensazione di una evidenza non afferrabile con un colpo d’occhio. Il volume che avevo davanti e il suo rapporto con la piazza aveva una familiarità inattesa e allo stesso tempo mi rendeva difficile abbracciarla con i sensi. Ho dovuto percorrerla, aggirarla, introdurmi, esplorarla e tuttavia in questo viaggio restavo stupito di quando essa mi prendesse ed io non la prendessi. È stata di nuovo una esperienza di spazio senza infingimenti, di insopprimibile presenza contro il dominio della vista o del pensiero. Come un corpo che non si può conoscere sulla carta patinata o via skype e che si può solo vivere in diretta, questi spazi mi hanno svelato che esiste una dimensione dell’architettura che è pura nudità, puro “ecco”.
Franco La Cecla
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