Possiamo entrare un po’ nel merito del dossier di candidatura e di come questo si inscrive nella vita e nella storia di una città come Siena?
Il nostro progetto si concentra sul rapporto tra patrimonio, soprattutto intangibile, e innovazione sociale, a partire dalla secolare storia della città che può essere appunto letta come una sequenza impressionante di innovazioni sociali fondate sulla cultura che si sono susseguite nel tempo, spesso in coincidenza con i momenti più difficili dal punto di vista economico e sociale. La speranza è di dar vita a un altro di questi momenti di grande effervescenza creativa in un momento innegabilmente difficile per Siena. Crediamo che le iniziative che metteremo in campo possano interessare anche molte altre città di patrimonio europee che si trovano oggi ad affrontare problemi simili ai nostri, e che quindi il nostro progetto possa avere allo stesso tempo un forte radicamento nella realtà locale e un forte respiro europeo.
Hai detto che Siena è una outsider rispetto alle altre candidate. Perché?
Perché è vero. Il senso comune non invita a pensare che sia Siena la città che può vincere il titolo di Capitale Europea della Cultura, per tante ragioni. Ma stiamo parlando di una competizione molto tecnica, la cui logica sfugge a molti di coloro che non hanno una profonda esperienza nel campo. Noi non ci sentiamo favoriti e sappiamo che dobbiamo affrontare una strada in salita. Sono altre le città candidate che si pensano favorite e si muovono come tali. Nel passato anche recente, tuttavia, le scelte della giuria hanno spesso contraddetto il senso comune e le previsioni della vigilia, e quindi noi faremo tutto ciò che possiamo per giocarci le nostre chances fino in fondo.
21 candidate alla corsa europea. Come interpreti questo dato?
Potrei forse un po’ ipocritamente dire che si tratta di un segnale molto positivo, ma non credo che lo sia. 21 candidate sono oggettivamente troppe, soprattutto considerando che non poche di esse sono state espresse troppo tardi per poter ragionevolmente produrre una progettualità robusta. E al di là delle baldanzose dichiarazioni che oggi portano tutte le città candidate a dire che andranno comunque avanti anche se non vengono selezionate, la realtà insegna che quasi mai in concreto è così, e che anzi la delusione per il mancato riconoscimento può produrre effetti boomerang che finiscono per togliere spazio alla cultura nella fase postcandidatura invece che ampliarlo. E questo vale soprattutto dove non si è fatto un lavoro di progettazione serio, prolungato e profondamente partecipato.
Se Siena non dovesse passare la prima selezione, cosa resterà al territorio di questa esperienza e quali percorsi verranno comunque portati avanti nel futuro?
Noi siamo ben consapevoli del fatto che, se non passeremo la selezione, gran parte dei progetti più innovativi che abbiamo messo in campo non potranno essere realizzati, perché le politiche culturali in condizioni “normali” non possono che concentrarsi su obiettivi ampiamente condivisi e facilmente comunicabili, mentre i progetti dalla più elevata capacità trasformativa sono spesso controversi e costruiti su un’ottica di lungo termine, e possono restare in piedi solo nel contesto della Capitale.
In ogni caso, poiché Siena sta attraversando una crisi profonda e vede nel progetto della candidatura la sua principale speranza di ricostruzione dell’economia locale, anche se non fossimo selezionati porteremo sicuramente avanti i progetti che mirano a costruire un cluster locale di impresa culturale e creativa che abbracci più settori, si relazioni alle specializzazioni già esistenti nel territorio, dia grande impulso all’imprenditorialità giovanile e si connetta alle reti europee.
Se invece la vostra avventura andasse avanti, quali saranno le vostre prossime azioni?
Proseguiremo il lavoro di progettazione già intrapreso rendendolo ancora più innovativo e radicale, con un coinvolgimento sempre più capillare e trascinante della comunità senese e soprattutto delle generazioni più giovani. Svilupperemo ulteriormente le nostre reti di partenariato europee. Metteremo in campo strategie ambiziose di fund raising.
Quale è il candidato che temete maggiormente?
Credo che non abbia senso farsi domande di questo tipo. La Capitale Europea della Cultura assomiglia più alla maratona che ai cento metri piani. Bisogna fare la corsa su se stessi, diventando consapevoli delle proprie possibilità e provando a spostare sempre più in avanti i propri limiti con un lavoro umile, quotidiano, costante. Fare la corsa sugli altri porta solo a perdere questo contatto profondo con la propria realtà, che invece per noi è il vero punto di forza.
Ti preoccupa il fatto che la Toscana abbia già avuto in Firenze una Capitale Europea della Cultura?
Per niente. Per quel che sono in grado di valutare sulla base della mia esperienza, le considerazioni geopolitiche nazionali non interessano molto alla giuria europea, che, non dimentichiamolo, è in maggioranza. Firenze poi è stata Capitale nel 1986, agli albori del programma. Ciò che davvero sta a cuore all’Europa, come è stato più volte ribadito nei momenti pubblici di presentazione a cui sono intervenuti funzionari europei, è scegliere una città che sia davvero in grado di mettere in campo e realizzare un progetto innovativo, efficace, duraturo. E in Italia non siamo ancora stati capaci di produrre un esempio di questo genere tra le passate Capitali italiane. È su questo piano che si giocherà la credibilità dei progetti e la loro capacità di ambire al titolo.
Santa Nastro
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