Chelsea, declino e no
L’arte del cambiamento e le testimonianze di un quartiere in cui l’apparente darwinismo sociale ottimizza il tessuto urbano e gli aspetti sociali. Inchiesta nel quartiere a più alto tasso di gallerie al mondo. Per dimostrare che il mammut Chelsea è ben lungi dall’estinguersi.
Una giornata di mezza estate a New York. Una passeggiata sulla vecchia ferrovia sopraelevata a Chelsea, noto quartiere d’arte di New York, collocato all’incirca tra la 14th e la 30th Street del West Side. L’album fotografico si completa con lo skyline mozzafiato della Grande Mela, imponenti warehouse, riflessi di sole sull’acqua del fiume Hudson, opere d’arte e installazioni in mezzo al giardino ricostruito artificialmente (la celebre High Line).
Osservando il paesaggio urbano dall’alto si notano gli spazi delle più note gallerie al mondo, ristoranti celebri, bar e club dal gusto metropolitano. Scendiamo per una visita da vicino e ci immergiamo nella lista infinita di mostre ed eventi culturali. Come annunciato dalle mille guide, siti web e riviste, la “macchina Chelsea” brulica, anche se i rumors da un po’ parlano di un quartiere in declino, con gli anni d’oro che ormai sono memoria collettiva e il centro dell’arte mondiale superato dai mercati emergenti.
In effetti, chi frequenta abitualmente il quartiere nota come il paesaggio urbano stia subendo trasformazioni evidenti: ristoranti e bar che chiudono, gallerie di medio livello che si spostano in altri quartieri, numerose vetrine che annunciano “For Rent”. La giovane scena artistica sta proliferando a Bushwick, Redhook e Chinatown, mentre le ditte della HighTech Industry hanno trovato casa negli enormi spazi vuoti dei vecchi magazzini, cosicché il quartiere, insieme al Flat Iron District, è ora soprannominato Silicon Alley. La High Line, aperta nel 2009, attira sempre più turisti e trascina dietro di sé l’apertura di catene gastronomiche, negozi di souvenir ed esercizi non più legati necessariamente all’arte. Nel quadrilatero si sta ridisegnando l’urbanistica, sono in costruzione grandi palazzi residenziali e servizi per i cittadini: campi sportivi, centri commerciali, palestre e uffici. Molto sembra indicare che il mondo dell’arte stia sempre più all’ombra di un’evoluzione urbanistica che guarda oltre.
È noto che il mercato delle opere d’arte ha subìto vari colpi nell‘ultimo decennio, partendo dalla profonda crisi economica che ha scosso gli Stati Uniti nel 2007/2008, la rapida ascesa di mercati emergenti e concorrenziali come la Cina, il Brasile e l’India, per non parlare dei danni irreparabili provocati da Hurricane Sandy che ha colpito con durezza proprio Chelsea. Un’indagine approfondita sulla situazione Chelsea post crisi, post aperture e post Sandy rivela però interessanti dettagli. In conversazione con alcuni protagonisti della scena dell’arte locale, scopriamo che i cambiamenti succitati non stanno probabilmente mettendo a repentaglio quello che è ancora l’art neighborhood più pullulante del mondo.
Pochi sanno che il quartiere è in realtà piuttosto giovane: solo quindici anni fa qui non c’erano altro che capannoni malmessi, carrozzieri, personaggi poco raccomandabili e magazzini abbandonati. Il gallerista Stephen Haller ci racconta ad esempio che, quando ha traslocato undici anni fa dalla SoHo tanto in voga su su sulla 26esima, era uno dei pochi galleristi conosciuti a trasferirsi a Chelsea. “A un certo punto molte persone mi riferivano che SoHo stava diventando troppo influenzata dall’apertura di grandi negozi di abbigliamento e boutique. La scena artistica stava cambiando, gli affitti diventavano sempre più alti, lo spazio che avevo troppo piccolo per le mostre che volevo fare. Ero attratto dagli enormi spazi vuoti di Chelsea, nei quali vedevo la possibilità di lavorare con i miei artisti su progetti più ampi. Ho traslocato quindi in un garage abbandonato. Mia moglie e io eravamo affascinati dal grande potenziale di questo spazio grezzo e potevamo immaginarci come convertirlo in uno spazio espositivo nuovo, estetico e frizzante. Sono molto contento di aver fatto questa scelta”. Mr. Haller ha quindi assistito allo sviluppo del quartiere sin dai suoi esordi, in tempi positivi e durante quelli meno felici, e oggi la sua galleria è una delle più rinomate di Chelsea. “Sandy ha fatto disastri e ha danneggiato molto lo stabile. Abbiamo dovuto ricostruire tutti i muri, i pavimenti e le postazioni di lavoro, ma abbiamo colto l’occasione per rinnovare gli spazi, che ora sono più belli di prima. Apprezziamo anche la politica della città nel mantenere un certo rigore per quanto riguarda l’insediamento di nuove realtà: ciò ha permesso che Chelsea sia stata e sia tuttora un riferimento saldo e indiscutibile per l’arte. I visitatori e la nostra clientela vengono da tutto il mondo. La costruzione dell’High Line offre poi un’esperienza newyorchese fantastica, attraendo tanti visitatori e, anche se non sempre rappresentano veri e propri futuri clienti per le gallerie, si tratta di un grande valore aggiunto per la zona”.
Ma è vero che molte gallerie stanno lasciando il quartiere? “Di gallerie ne nascono in continuazione, soprattutto nei nuovi quartieri e in quelli alla moda. In questo momento il Lower East Side e Chinatown sono molto in voga, gallerie e spazi espositivi aprono ogni giorno, ma quella zona non potrà mai sostituire Chelsea, come Chelsea invece ha fatto con SoHo ai tempi. Le grandi gallerie hanno fatto tesoro dell’esperienza di SoHo e, traferendosi sulla West Side, hanno comprato gli spazi anziché affittarli, per evitare di trovarsi in poco tempo con affitti troppo elevati”, riflette Scott Zieher della Zieher Smith Gallery. “Gli spazi a LES sono molto piccoli ma l’infinità di business interessanti conferisce al quartiere un grande charme, cosa che manca un po’ alle strade anonime tra l’8th e l’11th Avenue. Fra gli svantaggi di Chelsea, in effetti, c’è il fatto di essere quasi ‘mono-industriale’, ma d’altro canto non ci sono zone come questa in grado di accogliere altrettanti visitatori e ospitare un tal numero di mostre ed eventi. Sull’isola [Manhattan, N.d.R.] non c’è più spazio e i collezionisti vanno magari a curiosare nei quartieri fuori, poi però non c’è paragone al traffico che abbiamo qui, specialmente di sabato. Abbiamo aperto nel 2003 e allora ci hanno dato dei matti, dicendo che Chelsea era morta. Il boom stava invece solo iniziando”.
Fra le gallerie arrivate negli Anni Dieci c’è la Debuck Gallery, aperta nel 2010 ai piani alti di un palazzo che ospita una ventina di altri spazi espositivi. David Debuck ha scelto di aprirla dopo aver lavorato molti anni come dealer privato e la sua intuizione non lo ha deluso. Poche settimane fa si è addirittura trasferito in uno spazio più grande ground floor sulla 23esima. “Secondo me non c’è mai stato un esodo dal quartiere e chi si trasferisce lo fa per trovare un’atmosfera diversa, per avvicinarsi di più ai propri clienti e artisti. Certo, la crisi del 2007/2008 ci ha colpito tutti e nei primi mesi siamo stati in molti a essere in difficoltà, ma poiché Chelsea attrae clienti da tutto il mondo, il mercato non si è mai fermato veramente. Ciò ha permesso di continuare a fare mostre e a investire nell’azienda. Artisti famosi raggiungono ancora prezzi da record e tirano dietro di sé artisti emergenti”. Qual è allora il futuro di Chelsea? “Credo che le gallerie più affermate rimarranno qui”, risponde Debuck, “e probabilmente si ingrandiranno ancora, acquistando spazi addizionali per creare più opportunità ai loro artisti e per realizzare mostre di maggiori dimensioni. La recente costruzione di nuovi edifici residenziali mi fa credere che i visitatori occasionali saranno sempre di più e che il pubblico dell’arte aumenterà”. Che sia davvero questo il futuro di medio periodo? Piccoli che magari si spostano nel Lower East o altrove e grandi che profittano degli spazi vuoti per diventare ancora più grande. E già qualcuno dice: “a Chelsea arriveremo con una galleria per ogni strada”, magari riferendosi a galleristi come David Zwirner, proprietario de facto di tutta la 19esima…
Gina Fraone è direttrice e partner della Judith Charles Gallery, spazio che si trova sulla Bowery, di fronte al New Museum. Siamo nel Lower East Side, quindi, non a Chelsea, ma proprio per questo il punto di vista è interessante. Fraone conferma che Chelsea rimane un quartiere estremamente importante per il mercato dell’arte a New York, ma per essere una galleria di successo non è un più must essere lì. “Non cambierei per niente al mondo la sede della galleria. Stare sulla Bowery ci garantisce un passaggio pedonale diverso da quello di Chelsea, perché molti visitatori si godono lo shopping dei bellissimi negozi della vicina SoHo. Siamo inoltre vicini ai nostri collezionisti e artisti, e io e il mio staff possiamo godere della vita di quartiere, che non è poco”. E poi la gallerista sottolinea: “Gli aspetti più importanti per gli affari di una galleria sono la clientela, la tipologia di gestione e la giusta scelta degli artisti, e un po’ meno la location. Non è indispensabile trovarsi in un nucleo di altre gallerie, ma far bene il proprio lavoro e curare i rapporti con i propri clienti. Qui non mi sento per niente penalizzata, anzi”.
Ci pervengono altri dati interessanti da Bob, storico gestore del sito Chelsea Gallery Map, che da molti anni censisce il quartiere e segnala le gallerie al vasto pubblico. Secondo le statistiche del suo sito, “da dieci anni il numero delle gallerie varia costantemente tra 220 e 250, senza significative variazioni. Il business dell’arte è simile a quello di altri mercati, quindi anche qui ci sono esercizi che aprono e chiudono, nascono o sostituiscono quelli precedenti”. Dunque, dal suo osservatorio si nota che il quartiere si è mantenuto piuttosto saldo anche in tempi difficili. Mappando in continuazione la zona, Bob ha rilevato inoltre che, ovviamente, la maggior presenza di esercizi gastronomici e servizi per gli abitanti rendono più rilassata l’originaria atmosfera da “hard business”.
Un’opinione condivisa da Lauren Danziger, direttore esecutivo della Meatpacking District Improvement Association. Durante l’intervista ci spiega come l’insediamento delle ditte della High Tech Industry – da Google, Verizon e IAC alle piccole start-up – non stia affatto togliendo spazio all’arte. Centinaia di giovani professionisti stanno affittando casa e ufficio proprio in questa zona confinante con Chelsea e, visto che il settore della tecnologia è affine per molti versi al mondo creativo, rappresenta un nuovo segmento nel mercato, fra l’altro con un grande potenziale d’acquisto.
Alla luce di questi racconti, non sembra quindi che Chelsea abbia i mesi contati come qualcuno a New York sarebbe pronto a giurare. Anzi, la tendenza allo sviluppo è alquanto positiva. Semmai si osserva un interessante cambiamento che non coinvolge soltanto gli aspetti economico-finanziari, ma anche le strutture sociali e civiche, e quindi il tessuto urbano e la demografia di una metropoli che conserva una straordinaria solidità delle proprie basi anche nei momenti di transizione.
Sarah Corona
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #15
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