Il declino della politica internazionale, gli usi e gli abusi del potere, i tagli brutali al sistema educativo delineano, oggi, una decadenza – istruttiva ancora prima che scolastica – tesa a coartare l’uomo nei recinti del conformismo e del qualunquismo. Di una indifferenza quotidiana che, se da una parte costruisce figure parassitarie (come i politici di turno e i vari Beamten der Macht, i funzionari del potere), dall’altra sradica le radici all’albero della formazione per devitalizzare un processo attraverso il quale la persona acquisisce qualità, abitudini, “abiti di pensiero e di comportamento, capacità, in modo da poter vivere ed agire positivamente nelle nuove e complesse condizioni di vita” del mondo contemporaneo, per citare il Guido Giugni dell’Introduzione allo studio delle scienze pedagogiche (1984).
I sintomi di questa carenza non vanno ricercati, però, soltanto all’interno “del sistema educativo e dei metodi educativi” che, come ha suggerito Adorno nella sua Theorie der Halbbildung (1972), “sono state ormai criticate da generazioni”, ma in un panorama governativo (e amministrativo) che deforma la realtà e mira a devitalizzare il cervello del singolo per favorire una bassa cultura di massa; un veloce, (in)avvertito, ottenebramento della coscienza individuale dell’uomo contemporaneo.
Qual è, allora, la funzione presente della Bildung? Di una formazione utile a costruire cittadini liberi? Di una istruzione necessaria a creare una realtà sociale e culturale aperta al dialogo e al valore critico?
Per evitare l’integrazione a un universo strumentalizzato dal sistema e giungere a una corretta (ed effettiva) responsabilità morale o a quella che Rudolf Steiner ha definito un ritorno alla radice, all’osservazione del pensiero, all’intuizione intellettuale come forma di esperienza cosciente, le nuove manovre dell’arte – di un’arte più strettamente rivolta alla didattica e alla pedagogia – rispondono con un procedimento soffice che ripone al centro della riflessione il concetto di cura come spazio educativo all’arte, come andamento terapeutico, come attenzione all’altro e alla vita in comune. “La cura”, difatti, “è rivolta sempre ad uno scopo di bene e di giovamento della cosa che viene curata”, ha avvertito Socrate attraverso i suoi allievi (Platone, in questa occasione), con lo scopo di evidenziare proprio una capacità umana: la possibilità di avviare un processo terapeutico, una therapeia appunto, che si pone come ricerca della verità, dell’aletheia (del dischiudimento, dello svelamento, della rivelazione), della cruda realtà. Come avvicinamento ai problemi del mondo e, contemporaneamente, ai problemi dell’uomo. Dell’umanità nella sua totalità, più precisamente.
A questa parabola riflessiva – parabola in cui Socrate evidenzia l’importanza di un atteggiamento capace di garantire l’apprendimento del mondo – l’artista si avvicina per ritrovare i principi costitutivi della vita morale e civile, per ricostruire un discorso sempre più urgente sulle pedagogie attuali. Su forme di assimilazione alternativa (extrapedagogica) che, se da una parte costruiscono criteri educativi liberi da ogni prefisso punitivo o totalizzante, dall’altra creano isole metodologiche che risollevano dalle rovine il mondo della formazione e alimentano un processo didattico legato nuovamente al potere del sapere. A uno sviluppo della ricerca controllato attraverso un criterio che percorre le vie dell’osservazione partecipante e partecipata. Di un processo critico utile a stabilire contatti generazionali e a generare un metodo terapeutico (del resto therapeia vuol dire, in prima battuta, ‘curare’, ‘guarire’) utile a risanare la civiltà. A medicare le ferite di una società guasta, a correggere la società da un’epidemia che ha corrotto l’uomo privandolo di una vita morale, di una virtù, suggerisce ancora Socrate, che si conquista soltanto attraverso un processo di crescita interiore.
Ma non già per adeguare l’educazione dell’individuo alle esigenze sociali (di crisi politica ed etica), bensì per rintracciare, attraverso l’uomo stesso, “i criteri di fondazione della vita morale e civile” con un “atteggiamento del pensiero sempre aperto e critico”, con “la fiducia riposta nelle capacità autonome della ragione di scoprire la verità”, con “il criterio metodologico della maieutica e della dialettica” che introducono, via via, “principi e procedure di metodo di validità permanente, culturale e pedagogica”, come scrive Renzo Tassi nel primo volume dei suoi Itinerari pedagogici (20104).
Ritornare all’educazione, a un’educazione sana e corretta, vuol dire allora, per l’artista, prendersi cura dell’altro, stabilire tragitti necessari a sensibilizzare l’uomo allo stato delle cose attuali e, appunto, alla ricerca della realtà reale, della verità.
Antonello Tolve
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #15
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