Quel ferrovecchio firmato Machado. Arte rottamata a Gibellina
Gibellina al centro di polemiche, per via di un'installazione di Milton Machado finita tra i rottami. Il Sindaco si difende: era pericolante. Impossibile il restauro, plausibile la ricostruzione. Ma per ricollocarla dove? Triste vicenda, metafora dello stato d'abbandono in cui versa il patrimonio siciliano
Duole discutere di Sicilia, anche in ambito culturale, quasi unicamente per sollevare polemiche ed esprimere indignazione. Eppure la proporzione tra le denunce di ciò che non va e gli eventi lieti, i buoni progetti avviati, le risoluzioni ai problemi di gestione, di budget, di amministrazione, è di 100 a 1. E non c’è nuovo governo, non ci sono nuovi assessori o apparati dirigenziali che riescano ad invertire il trend. L’impressione è quella di una titanica macchina che, perversamente, continua ad alimentare la propria disfatta.
L’ultima vicenda riguarda Gibellina Nuova, la celebre cittadina in provincia di Trapani ricostruita, in forma di tributo all’arte contemporanea, dopo il devastante terremoto del 1968: la città vecchia, cumulo di macerie e di memorie luttuose, restava intrappolata sotto il Grande Cretto di Burri, un’immensa tomba di cemento che segna il paesaggio come un solenne, poetico memento mori.
Succede dunque che pochi giorni fa l’amministrazione comunale della cittadina trapanese decida di far rimuovere da una facciata di Palazzo Di Lorenzo – edificio ricostruito dall’architetto Francesco Venezia nel 1981 – la scultura del brasiliano Milton Machado, un possente cubo reticolare in ferro, sospeso in alto, che ormai versava in condizioni di degrado. Con un incarico d’urgenza corrispondente a 1.058,75 euro, il Comune ha così affidato a una ditta l’immediata rimozione dell’installazione: gettata al macero, come ferrovecchio. Ed è subito indignazione: scoppia il polverone sui media, tra l’opinione pubblica e i professionisti; ed è pure la politica ad essersi adoperata con solerzia, con tanto di interrogazioni e richieste di intervento al Ministro Bray e al Presidente Crocetta da parte di deputati nazionali (Michele Anzaldi e Andrea Marcucci, Pd).
E certo Crocetta e il suo governo delle responsabilità ce le hanno, se non per il caso specifico (che ha una storia antica), quantomeno per quel mix tra immobilismo e caos in cui continua a versare l’Isola: dalla formazione alla sanità, dal riordino degli enti all’ambiente, dalla situazione delle imprese all’indigenza dei Comuni, fino alla questione dei beni culturali, tra biblioteche e musei in sofferenza. E proprio sul tema delle responsabilità isituzionali usa toni duri Enzo Fiammetta, direttore del Museo delle Trame Mediterranee, intervistato da Artribune: “Alla base di questa storia c’è un problema enorme, che riguarda Gibellina come tutta l’Isola: i Comuni non hanno soldi per la manutenzione e il restauro delle opere. Non hanno soldi per gi asili, le scuole, i rifiuti, l’ambiente… La situazione è gravissima”. La frizione tra i sindaci siciliani (di destra e di sinistra) e il Governatore è balzata alle cronache dopo la manifestazione di pochi giorni fa, a Palermo: riunitisi di fronte al Palazzo dei Normanni per protestare ed illustrare le loro istanze, gli amministratori hanno trovato le porte chiuse. Non ricevuti, clamorosamente. Tensioni e polemiche, ancora.
E però, tornando ai fatti, se un’opera versa in cattive condizioni, la si rottama senza pensarci su? La si cancella come se non fosse mai appartenuta alla storia di un luogo? “L’opera di Machado” aggiunge Fiammetta, “fu realizzata da alcuni artigiani di Gibellina, su suo progetto: rifarla identica è possibile, senza che questo modifichi nulla. L’artista non ci aveva messo mani, fisicamente. Da parte della fondazione Orestiadi c’è e ci sarà un impegno in tal senso”. Già, perché il Sindaco di Gibellina, l’architetto Rosario Fontana, in questi giorni è diventato anche Presidente della Fondazione Orestiadi. Uno che in tema di arte e architettura non è certo a digiuno. Dunque?
“Comincio col dire che quest’opera era vecchia di ben 23 anni”, ci ha subito premesso. “Era il 1990 e io ricordo tutto molto bene, poiché ai tempi ero assessore alla cultura. L’installazione fu realizzata in occasione di una mostra di artisti brasiliani, come opera temporanea, che avrebbe dovuto poi essere rimossa. Prova ne è che vennero utilizzate delle bacchette in profilato di ferro scatolare, dunque vuoto, leggerissimo, per giunta non trattato per l’esterno. Non era fatta per durare nel tempo, tantomeno per restare all’aperto”. Risultato? “Era ormai una struttura collassata, arrugginita, infradicita, non più in grado di auto sorreggersi. Perché l’ho tolta? Per salvare qualche visitatore da un infortunio sicuro. Era un rischio troppo alto”. Restaurarla? Impossibile, a detta del Sindaco: “Ridotta a un ammasso di ferro logoro, era tutta da rifare”. Ed ecco la tesi cui accennava Fiammetta, l’idea di rifarla ex novo. “Io sono disponibile”, commenta Fontana “ma il dato è uno: ho consultato l’architetto Venezia per un’ipotesi di ricostruzione e lui mi ha confermato che l’opera non era stata fatta per il palazzo, dunque non dovrà tornare lì. Se ricostruita andrebbe installata altrove, considerando anche i volumi imponenti. Ma con quali criteri? Chi decide? Con quale senso?”.
Dubbi legittimi, per una faccenda che è più complessa di quel che sembrava. L’unica strada sarebbe quella di sentire l’artista, che, in verità, avrebbe dovuto essere contattato già prima della demolizione, magari insieme a uno storico dell’arte. E la questione dell’aura? Della memoria incarnata nell’oggetto? Irrilevante per l’amministrazione: la mancata tutela ne aveva fatto un rottame.
Dunque, sentire Machado e sciogliere il dubbio? “Non è facile, non abbiamo più i contatti, ma è la strada che intendo percorrere, in modo da fare le cose con un criterio. Di certo non posso accettare di essere tacciato come il sindaco insensibile all’arte, proprio io che ho sempre avuto a cuore i destini delle opere di questa città”. Ed eccolo sciorinare, con rabbia mista a orgoglio, tutti gli obiettivi raggiunti nei tre anni del suo mandato, proprio sul versante della tutela e del restauro: “Abbiamo chiuso l’iter per avviare finalmente il restauro del Cretto, abbiamo restaurato la chiesetta di Santa Caterina ai ruderi di Gibellina, gli atelier della fondazione, la Chiesa Madre di Ludovico Quaroni, oltre ad aver ripreso i lavori di messa in sicurezza del teatro di Consagra… Risutati miracolosi, in così poco tempo, riuscendo a trovare i fondi nonostante la situazione gravissima”.
Sforzi grandi, ma non esaustivi, per una cittadina che avrebbe necessità di una continua tutela e che, purtroppo, patisce come tutti i comuni siciliani, soprattutto quelli al di sotto dei 5.000 abitanti. “Ho scritto una lettera al Presidente Crocetta chiedendogli aiuto. Perché fra i tagli del governo Monti e quelli del suo governo, abbiamo perso circa il 60% di contributi. Non si può andare avanti così. Gibellina è una città con delle grandi tipicità. La prima è l’immenso patrimonio artistico: come facciamo con la manutenzione? Un’un’altra è il patrimonio palmifero, 2000 esemplari minacciati dal punteruolo: per evitare che muoiano ogni anno investiamo decine di migliaia di euro; e infine l’ampiezza: una città di 4.000 abitanti che per dimensioni potrebbe opsitarne 40.000, ma che riceve trasferimenti dal fondo per leautonimie locali proporzionali alla popolazione effettiva”.
Insomma, l’audace spending review continua a colpire le piccole realtà, incluse quelle virtuose, condannandole a una situazione di stenti, di perdita identitaria, di fragilità culturale, di inefficienza sul piano dei servizi, nonché di esposizione al degrado: opere d’arte, architetture, paesaggio. E nulla è cambiato, col susseguirsi di governi e presidenti. Tutto fermo, nessuna rivoluzione o inversione di rotta, anzi. Cosa ne direbbe – o ne dirà – Milton Machado di questa storia, lo sapremo, forse, più in là. Ma per uno scandalo che va oltre la faccenda in sé e che diventa exemplum, la riflessione da fare è di natura politica. Ed è impietosa. Che quella grande gabbia collassata, coperta di ruggine, si candidi a diventare la triste metafora di un’Isola pronta per lo sfascio? Ricostruirla è l’unica strada che c’è. Ma chi ci pensa?
Helga Marsala
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