La cultura non basta
C'eravamo convinti che bastassero un nucleo sparuto di visionari, artisti, creativi, musicisti… insomma, quelli che pure la Comunità Europea definisce come “classe creativa”, per cambiare le sorti di una città, di un quartiere. Le pratiche e le teorie di Richard Florida e della sua creative class ci avevano sedotto.
Abbiamo tutti pensato, io in primis, che Torino o Padova, Bari o Faenza si potessero rigenerare economicamente, socialmente, culturalmente grazie alla creatività. Sembrava bastasse un museo o un centro del contemporaneo, un teatro o una via di gallerie per riprendere quartieri difficili, aree da riattivare, paesini in disuso o province dimenticate. E così tutti a ricordare e convincere assessori e affini che “un festival rilancia una città, che la ricaduta e blablabla, che se fai uno spettacolo, un’installazione, allora l’economia della città…” e via così.
E così sono nati mille progetti, grandi e piccoli, diffusi ovunque e su scale improbabili. Molti bellissimi, ma incapaci di sopravvivere a loro stessi, perché mancano di una infrastruttura reale, economica, alla base. Non nel budget, magari, ma nella struttura territoriale, nella massa critica. Abbiamo demandato alla maniglia il ruolo di finestra.
Torna utile leggere La nuova geografia del lavoro del giovane cervello in fuga Enrico Moretti. Un’analisi acuta e con numeri alla mano, che ribalta le facilonerie e le illusioni creative. La debolezza che manifesta è sempre immateriale. Abbiamo pochi, o meglio frammentati e non connessi, “spillover del sapere“, ovvero centri di diffusione della conoscenza, determinanti per il capitale umano. Creatività e istruzione saranno le variabili su cui si giocherà il futuro. Facile a dirsi.
Ma le città, come il Paese, ce la faranno solo se i numeri dei fatturati e del sistema economico, se ancora ci sarà, saprà incrociare e investire sulla necessità di costruire luoghi e città generatrici di idee e possibilità, di incroci e incontri inaspettati. Ci vuole un sistema economico per far procedere e alimentare culturalmente un luogo. Se quello non c’è, non c’è l’uovo. Anche se ci sono migliaia di artisti o produttori culturali. Vedi il caso macroscopico di Berlino, che non parte mai malgrado il doping finanziario degli ultimi vent’anni che ci ha messo 100 miliardi.
Solo se la capacità produttiva saprà produrre un pensiero “politico” per reinventare i luoghi riusciremo a rigenerare e attrarre il capitale umano. Che altrimenti fuggirà.
Cristiano Seganfreddo
direttore del progetto marzotto e di fuoribiennale
docente di estetica in design della moda – politecnico di milano
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #15
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