Oriente d’Europa
Il centenario della nascita di Witold Lutosławski non è solo un’occasione per ricordare il peso che una particolare area geografica dell’Europa, quella orientale, ha avuto nella formazione del panorama musicale moderno. L’influenza esercitata da personalità come Bartók, Lutosławski, Ligeti è un lascito decisivo per le generazioni future, oggi al centro del linguaggio globale della musica nuova. Che forse andrebbe rilocalizzato.
Come molti uomini e donne della sua generazione, Witold Lutosławski vive gli anni dell’infanzia e della giovinezza nel vortice sanguinoso delle due guerre mondiali e si forma nel clima degli scontri ideologici del suo tempo. Nasce a Varsavia nel 1913 in una ricca famiglia dell’aristocrazia polacca. Il padre, Józef, è attivista nella Narodowa Demokracja, il partito democratico nazionalista con cui condivide le aspirazioni a una trasformazione autarchica dello scenario politico e culturale in favore di un ritorno alla Grande Polonia, e rigetta i mutamenti di massa e le influenze provenienti dall’affacciarsi sulla scena internazionale del bolscevismo e del nazionalsocialismo. All’indomani della Rivoluzione d’Ottobre, il padre e lo zio del piccolo Witold, che allora ha cinque anni, sono fucilati da un plotone di esecuzione.
La ricerca musicale di Lutosławski sembra in qualche modo procedere sotto l’influenza degli avvenimenti storici e personali. Non accetterà mai di allinearsi culturalmente a Mosca, che lo etichettò presto come formalista e, durante l’occupazione nazista di Varsavia, quando la musica polacca venne bandita dalla città e dalle emittenti radiofoniche, fu autore di canti di Resistenza e pianista “sotterraneo” nei caffè della città, in duo con l’amico Andrzej Panufnik.
Il continuo sforzo orientato alla ricerca dell’autonomia conduce progressivamente Lutosławski a porre, in quella musica e in quel tempo, un individualismo per molti aspetti post-avanguardistico. Dedica la sua vita al lavoro culturale e, sul piano musicale, all’elaborazione di un sistema anti-autoritario. Un percorso che lo porta a concatenare in modo originale avanguardia e tradizione e a formulare, per così dire, un “teorema musicale della complessità”, che troverà la sua maggiore espressione nello stile maturo ricco di parametri musicali sorprendenti, formalizzati in una semantica precisa annidata nella fitta trama sonora dell’orchestra.
I tre Postludium per Orchestra, scritti tra il ’60 e il ’63, sono in questo senso emblematici. Attraverso la pianificazione di una strategia di controllo analitica e meticolosa, si ritrovano qui insieme i principali elementi d’innovazione del secolo – dodecafonia, serialismo, alea – e già, con essi, il loro superamento. È una musica che contiene ed eccede al tempo stesso la propria struttura e dove il suono si trasforma in frase e viceversa, aprendosi come un frattale, o ancora dove la dodecafonia, emancipata dalla serie, si evolve in densi accordi dimensionali, verticalmente. L’ascolto restituisce la sensazione di una stasi che fluisce in senso discendente e al tempo stesso ascendente, con precisione matematica. Saremmo tentati di dire, a questo punto, che la musica di Lutosławski, in certi suoi momenti, mette in scena una matrice elettronica della sorgente acustica. Una forma non ancora matura, che più tardi verrà sviluppata in piena autonomia da Ligeti nei suoi Concerti per solo e orchestra degli Anni Ottanta e Novanta, così come sono stati consacrati su CD da Pierre Boulez alla testa dell’Ensemble Intercontemporain.
Le celebrazioni del lavoro e della personalità di Lutosławski sono già cominciate e non si fermeranno nel 2013. Il fuoco di Varsavia, dove l’evoluzione musicale del compositore e la carriera del dirigente sono ricostruite attraverso una lunga serie di appuntamenti, continuerà a bruciare fino a gennaio 2014. Il più grande festival per orchestra d’Europa, il Musikfest di Berlino, sceglie invece di esplorare musicalmente le regioni, il lavoro e le amicizie del compositore, attraverso l’accostamento di opere di Béla Bartók, Leoš Janáček e Benjamin Britten. Numerosi i concerti e le trasmissioni radiofoniche dedicate al centenario anche in Francia e Inghilterra, mentre focus più sparpagliati si alternano negli Stati Uniti, in Australia, in Brasile, Messico, Svizzera, Serbia, Slovenia. In Italia ci si prepara con due appuntamenti in occasione della Biennale Musica di Venezia, in cui, nel contesto di un programma sulla musica est europea, sono presentati Grave, altrimenti conosciuto come le Metamorfosi per violoncello e piano, interpretato da Anna Armatys e Ginevra Petrucci, e la Sinfonia n. 3, interpretata dall’Orchestra del Teatro la Fenice. Un’occasione da cogliere.
Alessandro Massobrio
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #15
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