S.E.A. of Arts
Lo scorso febbraio, di ritorno da un viaggio a Shanghai e Seoul, ho avuto una premonizione. O almeno così pensavo in quel momento. Se l’Asia del Sud Pacifico si qualifica come una zona di vigorosa crescita economica, come non attendersi una altrettanto vigorosa crescita artistica?
Ho proposto allora a Elaine W. Ng, direttrice di Art AsianPacific a Hong Kong, di preparare per il numero 10 del magazine che dirigo, TAR, una selezione dei migliori artisti di quest’area complessa di cui fanno parte il Vietnam e l’Australia, e poi Corea, Cambogia, Malesia, Tailandia, Singapore, Birmania, Filippine, Laos e Brunei. Un’area in forte evoluzione socio-politica: dal 2015 – fatta esclusione per l’Australia e la Corea – destinata a divenire, con il trattato ASAEN, una sola economia integrata.
Il risultato della mia “premonizione” è stato straordinario: i nove artisti selezionati da Elaine (Apichatpong Weerasethakul, Leang Seckon, Heman Chong, Fx Harsono, Sopheap Pich, Alfredo e Isabel Aquilizan, Dinh Q. Le, Genevieve Chua, Pornsak Sakdaenprai) si allineano sul magazine in una galleria di grande impatto visivo.
Sul fatto che sia stata una premonizione, però, ho dovuto ricredermi. Lo scorso marzo a Manhattan mi sono imbattuto in una personale di Apichatpong al Met mentre il Gugghenheim esibiva senza pudore un’operazione di shopping condotta in quest’area grazie al supporto della banca svizzera UBS. Un vero e proprio piano quinquennale denominato MAP Global Art Initative per acquisire opere provenienti da sud-ovest asiatico, Sudamerica e Nordafrica. Un meccanismo ben congeniato che prevede uno scouting guidato da curatori ospitati in residenza per due anni.
Mentre gli spazi del corpo centrale del museo allineavano opere del movimento Gutai, l’esposizione parallela No Country: Contemporary Art for South and Southeast Asia – organizzata dal curatore indipendente di Singapore June Yap – ha raccolto le opere di 22 artisti celebri e meno celebri, mentre al suo fianco era allestita la mini-personale del vietnamita Danh Vo, vincitore nel 2012 del Gugghenheim Hugo Boss Prize. Dimenticavo poi quella dedicata alle delicate opere su carta dell’indiana Zarina HasmiIl. Nessuna premonizione dunque, piuttosto un processo just in time.
Aldo Premoli
trend forecaster
direttore di tar magazine
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #15
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