Il Pecci delle polemiche. Se il privato si accaparra i servizi
In questi giorni circola un appello in difesa dello storico Centro di Informazione e Documentazione e del settore Didattica del Pecci di Prato. Dito puntato contro le amministrazioni e allarme per una paventata chiusura. Noi abbiamo sentito Regione e Comune. Ed ecco il tema: arriva un bando per affidare i servizi ai privati, sperando di rilnciarli. Ma i lavoratori hanno qualche timore...
È in attesa di un direttore, il Centro Pecci di Prato. Dopo la conclusione dell’ultimo mandato di Marco Bazzini – mentre i cantieri per l’ampliamento della nuova ala proseguono, secondo il progetto di Maurice Nio – l’amministrazione ha lanciato la scorsa estate un bando, per reclutare il curatore destinato a prendere in mano il timone. Ma intanto, qualcosa arriva a spezzare l’attesa. Un appello, diffuso in tramite e-mail, accende la polemica. Ecco l’incipit, durissimo: “Dopo l’abbandono del progetto per un Museo d’arte contemporanea nell’area delle ex Officine Galileo a Firenze, la chiusura del Palazzo delle Papesse a Siena e in seguito ancora a Firenze di Ex3, il mondo dell’arte in Toscana apprende dalla stampa la riprovevole situazione generata al Centro Luigi Pecci di Prato dalla ventilata dismissione di aree e servizi essenziali, quali Biblioteca e Centro di Documentazione, Didattica e Accoglienza, e la conseguente messa a rischio di 9 posti di lavoro”.
Parrebbe quindi, stando all’accorata lettera, che il settore del Museo preposto alle attività di ricerca e a quelle educative sia in procinto di essere spazzato via. Nonostante il ruolo centrale ricoperto all’interno del complesso museale. Il Centro Informazione e Documentazione (CID)/Arti Visive, dedicato alla raccolta e diffusione di materiali sulle arti contemporanee, l’architettura e il design, oggi custode di 40mila titoli, nasceva infatti nel 1983: solo quattro anni dopo si sarebbe firmato l’atto costitutivo dell’Associazione “Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci”, preliminare alla nascita dell’attesissimo centro, il 25 giugno del 1988.
Si apprende così dalla missiva che la biblioteca verrà presto “ridotta, come si evince del piano di ristrutturazione e dalle interviste dell’attuale Sindaco Cenni, ad un semplice magazzino chiuso, a cui si accede solo per richiesta”. Colpa della crisi e dei fondi sempre più scarsi. Stessa sorte spetterebbe al centro per la Didattica, che attraverso workshop, laboratori, visite guidate e conferenze, dal 1988 coinvolge bambini, scuole, università e adulti. Il tutto “camuffato come esternalizzazione dei servizi”. Uno scenario triste. Le colpe? Dei due Enti che finanziano il Museo e contro cui si scaglia l’appello: Regione Toscana e Comune di Prato.
A non quadrare, però, è il nesso tra la grossa operazione di rilancio voluta per il Pecci, con cospicui investimenti, e questa mortificazione delle sue attività interne. Che senso avrebbe? Abbiamo così sentito la segreteria dell’Assessore regionale alla Cultura, Cristina Scaletti. E la risposta è stata categorica: non solo non sapevano nulla di questa presunta chiusura dei servizi, ma a considerano improbabile ed incongruente. Il budget di 500mila euro garantito al Pecci (preventivato fino al 2014), secondo Convezione vincola infatti il centro a “documentare presso la biblioteca del centro le nuove tendenze artistiche in campo regionale, nazionale e internazionale, sviluppandone l’attività come centro di informazione e documentazione, con l’obiettivo di farne un luogo d’eccellenza, punto di riferimento per studenti, artisti e comunità scientifica”. Altro che chiudere.
E il Comune? È il sindaco Roberto Cenni a risponderci. “Quella in atto al Centro per l’Arte Contemporanea “Luigi Pecci” non è una semplice ristrutturazione”, scrive, “bensì il tentativo di far esprimere al centro tutte le potenzialità che troppo a lungo, a causa di una chiusura a riccio, non è stato in grado di manifestare. Il Centro Pecci è impegnato in una fase di riorganizzazione e di crescita, alla ricerca di nuove sinergie nel mondo delle culture contemporanee, capaci di sviluppare funzioni non esclusivamente museali”. Tutta la volontà di crescere e di migliore l’offerta, dunque. E il CID? Stesso discorso: una struttura troppo chiusa, a detta del Primo Cittadino, che per 23 anni avrebbe “drenato risorse senza esaltare le potenzialità della struttura”, ottenendo “come unico risultato circa 900 presenze all’anno. Un dato che fa rendere facilmente conto come dietro a certe proteste ci sia solo il semplice egoismo di mantenere i privilegi acquisiti negli anni”. E infine: “Sono di contro fermamente convinto che il servizio, attraverso nuove funzioni può portare più ragguardevoli risultati, purché non sia condotto così come lo è stato fino ad oggi”. Il problema sarebbe quello di una gestione fallimentare, a cui tentare di ovviare con nuovi input. Ed ecco la parolina incriminata: “esternalizzazione”. Ci spiega Cenni, al telefono, che un altro bando è adesso in via di definizione, utile a identificare un soggetto privato in grado di assumere la gestione dei servizi di tutti i musei del polo museale cittadino, operando in modo sinergico. Bookshop, promozione e organizzazioni eventi, didattica, biblioteche, guardiania, diventerebbero il core business di società chiamate a svolgere un lavoro “imprenditoriale”, portando un risultato in termini di numeri e di economie. E i contenuti? Quelli resteranno prerogativa del Pecci e del suo comitato scientifico, naturalmente. Ma del ricavato dei biglietti potrà beneficiare, in proporzione, anche chi amministra i servizi: più funziona il museo, più biglietti si staccano e più ci si guadagna. Come da perfetta logica manageriale.
E non finisce qui: il rilancio della struttura dovrà passare anche da un aumento delle attività collaterali. Non solo mostre, ma concerti, spettacoli, meeting, in grado di attirare più target e di fare cassa. Includendo l’opzione “affitto” per convegni, shooting fotografici, manifestazioni (di adeguato livello, s’intende, escludendo le varie sagre del carciofo). Detta così, in presenza di trasparenza, efficienza e alti standard qualitativi e culturali, la cosa suonerebbe bene. Un passaggio da valutare, per i molti musei pubblici impantanati in una inefficienza antica e cronica.
Il nodo resta quello dei 9 lavoratori assunti dal Centro, forse il vero motore di quell’appello inviperito: la paura, naturalmnente, è di perdere il posto. “È la difesa di un privilegio acquisito”, ribadisce il Sindaco, “a cui non corrispondono risultati adeguati. Tuttavia, c’è un tavolo di discussione con i sindacati: stiamo lavorando per capire come garantire la riassunzione a queste unità, che potrebbero passare con la nuove gestione”. Così, mentre si scommette sul nome giusto per la direzione, una cosa pare certa: non sarà lo stesso Pecci di sempre. Stravolgimenti all’orizzonte, in attesa del decollo. Sperando di non farsi male con qualche scivolone.
– Helga Marsala
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