Fra il 1986 e il 1990, il fotografo/artista Richard Prince (Panama, 1949; vive a New York) fece realizzare una serie di monocromatici lavori contenenti freddure scritte da qualcun altro che concernono frustrazioni e fantasie sessuali della classe media americana. Si tratta di tele senza arte, quindi, di battute da appendere alla parete, degne di un film di Woody Allen o della Settimana enigmistica. “Sarò ricordato per questa serie di opere”, auspica o minaccia l’artista.
In questi giorni, la Nahmad Contemporary di New York ha organizzato la più grande personale dedicata ai Monochromatic Jokes di Richard Prince finora mai realizzata. Nel solito periodo, un lavoro della stessa serie è stato incluso in un group-show alla Zwirner sulla diciannovesima. Queste due mostre sono state organizzate in preparazione di un nuovo record personale di vendita da abbattere?
L’artista della scuderia Gagosian e cocco di mamma Madison Avenue è infatti già riuscito a ubriacare il mercato dell’arte contemporanea in tre occasioni: nel 2005, quando la sua opera Untitled (Cowboy) del 1989 è stata battuta a 1 milione e 248 mila dollari; nel 2007 per una sua foto battuta a 3 milioni e 400 mila dollari, sancendo il record della foto più cara di tutti i tempi; e nel 2008 con l’opera Overseas Nurse, battuta a 8 milioni e 452 mila dollari.
La totale assenza di logica relativa al valore delle sue opere è accompagnata da un aggressivo disprezzo del mondo della critica d’arte da parte dello stesso Prince, che sul suo blog ha recentemente pubblicato una Shit List relativa alle riviste d’arte, scrivendo: “Art Forum (fa schifo). Art News (la peggiore). Art Review (incapaci di giudicare anche un cocktail alla frutta). Frieze Art Magazine (l’ho aperto una sola volta e non ho capito cosa stessi guardando). Artinfo.com (non c’è una sola informazione che meriti di essere letta in questo sito). Mi auguro che tutte queste riviste chiudano e lascino il mondo dell’arte tutto per me. Perché tutto per me? Perché sono io il mondo dell’arte”.
Tutti questi movimenti sembrano far parte di una pianificazione per suscitare antipatia e scandalo, business e ancora business. Già, perché le provocazioni e l’appello al pubblico dileggio di Prince odorano tanto dell’orina del pitale di Duchamp (opera, ricordiamolo, nata per essere intenzionalmente disprezzata); se i sorrisi davanti ai suoi lavori e alle sue frasi sono piccoli, sempre più grandi si preannunciano i margini della sue future vendite.
Più forti dei musei di ieri, le megagalleries e il loro indotto, usando come portavoce il più insignificante e sovrapprezzato esponente, vogliono riaffermare che da oggi non hanno bisogno di alcuna rivista d’arte per approvare e autenticare il valore degli artisti esposti e soprattutto le quotazioni delle opere; vogliono ribadire con ancora più forza che sono loro e nessun altro la locomotiva che si trascina il mondo dell’arte dietro, e che la critica d’arte è un peso di cui sbarazzarsi per poter correre ancora più veloce.
E mentre questo succede, lo Zeitgeist continua a spacciare per perdenti, lente e paludose le elucubrazioni cerebrali dei vari teorici dell’arte, comprese le scivolose quanto pare fastidiose e insignificanti classificazioni quali Anti Art, Appropriation Art, Art After Conceptual Art… fino all’Anti Anti Art, ovvero riflessioni su riflessioni non più in grado non solo di influire, ma nemmeno sfiorare l’opinione pubblica, il sentimento dell’uomo comune.
Mentre, seduti sulle loro scrivanie accademiche, i più prestigiosi critici d’arte preparano le ennesime pagine di costernazione, come in Cent’anni di solitudine, il mondo da cui scrivono assomiglia sempre di più a una città fantasma prossima a essere spazzata via da un uragano chiamato presente, apparentemente arrivato all’ultima pagina del loro libro.
Forse un giorno sarà possibile ricordare i Monochromatic Jokes come l’ultima iperbole milionaria nata da una insulsaggine pazzesca made in Madison Avenue & Co., il conclusivo episodio di una non arte catalogata concettualmente cent’anni fa, ma mai come oggi così forte e giovane; auspicando che le trappole finanziarie, le speculazioni legate all’arte vengano riconosciute in maniera condivisa come un generatore di vuoto fecondo, capace di far spazio a quella che sarà ricordata come Grande Arte di questa nuova era già cominciata, seppure ancora senza un nome preciso.
Alessandro Berni
New York // fino al 18 gennaio 2014
Richard Prince – Monochromatic Jokes
NAHMAD CONTEMPORARY
980 Madison Avenue
+1 (0)646 4499118
[email protected]
http://www.nahmadcontemporary.com/
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