L’arte del selfie
Viviamo nell’era del self-branding. E l’autoritratto, realizzato con smartphone e webcam, è ormai una pratica diffusa trasversalmente e globalmente. Dall’anonimo adolescente alla celebrity internazionale, tutti oggi praticano l’arte del selfie. E gli artisti, autori storici del genere, non stanno a guardare.
Tutti l’hanno fatto almeno una volta (ma spesso più di una). Bambini, adolescenti, giovani, anziani. Sconosciuti e celebrità. Ricchi e poveri. Di tutte le nazionalità e le estrazioni sociali. L’hanno fatto persino Papa Francesco e il Mars Rover, il robottino lanciato dalla Nasa alla volta di Marte. Stiamo parlando del selfie, versione contemporanea dell’antica arte dell’autoritratto. Scattati perlopiù con smartphone e webcam, i selfie sono diventati una tradizione diffusa e trasversale, un’abitudine che ha contagiato tutti e si è imposta come comportamento sociale caratteristico della nostra epoca. La sua popolarità ha persino indirizzato lo sviluppo di alcune tecnologie: non è un caso infatti che, a partire dall’iPhone 4, gli smartphone abbiano iniziato a implementare la front-facing camera, che permette di autoritrarsi senza ricorrere all’ausilio di uno specchio e senza scattare alla cieca alla ricerca dell’inquadratura giusta. Lo scorso maggio Time Magazine ha messo in copertina un’adolescente intenta a scattare un selfie, per illustrare un ampio articolo sui cosiddetti “millenials”, ossia i nati tra il 1980 e il 2000. Il pezzo, firmato da Joel Stein, tentava un racconto obiettivo della “me me me generation”, una generazione accusata di narcisismo, egoismo, pigrizia e superficialità, ma allo stesso tempo capace di esplosioni creative e comportamenti anti-convenzionali. Il progetto Shuttr (ancora allo stadio di prototipo), una specie di telecomando che funziona in congiunzione con telefonini e computer e permette di produrre autoscatti migliori, ha raccolto qualcosa come 90mila dollari tramite la piattaforma di crowdfunding Kickstarter. Ad agosto, infine, per sancire la novità anche lessicale, la parola ‘selfie’ è comparsa sull’Oxford Dictionary.
Se la parentela con l’antico genere dell’autoritratto è impossibile da negare, questa nuova abitudine presenta tuttavia caratteristiche peculiari, in gran parte legate all’universo dei social network e all’uso di Internet come spazio sociale in genere. Bollati per molto tempo come semplici derive narcisistiche, persino un po’ di cattivo gusto, oggi i selfie rappresentano molto di più: la volontà di inserire se stessi nel racconto, di dare un volto alle storie, di costruire e governare la propria immagine e, con essa, la percezione della propria personalità. Non è più, insomma, soltanto una faccenda di aspetto fisico: la scelta di “metterci la faccia” fa più spesso parte di una nuova attitudine al personal storytelling. E non è un caso che i selfie siano il tipo di scatto che raccoglie il maggior numero di like e commenti: il nostro cervello è programmato per reagire alla vista di un volto umano, la più antica (e ancora la principale) interfaccia di comunicazione.
Questa esplosione virale del genere dell’autoritratto, è facile immaginarlo, non poteva non colpire l’immaginazione e la curiosità degli artisti. Sono infatti numerosi i tentativi di rielaborare questo tema, sia riallacciandosi al genere storico, sia approcciando i nuovi linguaggi elaborati negli ultimi quindici anni nel contesto dello sviluppo tecnologico globale. Giusto qualche settimana fa, la fiera d’arte di Londra specializzata in videoarte, Moving Image, che si svolge in contemporanea con la più nota Frieze, ha presentato una mostra tutta dedicata al tema del selfie: National #Selfie Portrait Gallery, un progetto ideato da due giovanissimi curatori, Marina Galperina e Kyle Chayka, riuniva brevi video (durata massima 30 secondi) realizzati per l’occasione da 19 artisti internazionali. Intervistati dal sito The Daily Beast, i curatori spiegano: “Il progetto rappresenta un meta-commento sul self-brading nell’era digitale. I selfie non sono sempre arte, ma queste opere d’arte sono sicuramente dei selfie”. I video inclusi nella selezione sono estremamente diversi tra loro per concezione, estetica ed esecuzione: vanno dal commento ironico di Jayson Musson (più noto con lo pseudonimo di Hennessy Youngman), che si concentra sul processo stesso dello scatto di fronte allo specchio, all’approccio più sperimentale di Alexander Porter, che utilizza la grafica tridimensionale per trasformare il proprio volto in un paesaggio.
Il tema del rapporto fra arte e selfie è anche al centro dell’open call appena lanciata dall’artista e ricercatore americano Patrick Lichty: Selfies and the New Photography. 50 Artists/50 Selfies. Fino al 14 gennaio è possibile partecipare al progetto – che consisterà, nella sua forma finale, in un sito web e in un catalogo a colori – con un contributo fotografico oppure con un saggio sul tema. Autoritratti 2.0 cercasi.
Valentina Tanni
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #16
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