Let’s dance! Il musical e l’arte contemporanea
“All singing and all dancing!”: era la formula con cui si promuoveva e si definiva il cinema musicale americano ai tempi del suo massimo impatto negli Anni Trenta. E mentre il cinema d’animazione ha ormai una presenza forte con William Kentridge, un altro genere cinematografico si è introdotto in punta di piedi nelle pratiche artistiche contemporanee. Il cinema musicale, appunto.
Avevano iniziato già negli Anni Novanta gli Young Brits con la performance di Gillian Wearing che danza sfrenatamente con auricolari in un centro commerciale, mentre i passanti la guardano divisi fra curiosità e indifferenza, come Gene Kelly in Singing in The Rain balla sotto l’occhio stupito e disapprovante di un poliziotto. Sam Taylor-Wood nell’installazione video multischermo Killing Time del 1994 mostra un gruppo di persone che mimano azioni basandosi su un pezzo d’opera. E il rapporto fra suono e corpo riappare nel video in cui un danzatore balla nudo ma senza che il suono sia udibile, sottraendo quindi la ragion d’essere ai suoi movimenti. Mentre diversi suoi video si rifanno a logiche cinematografiche e musicali, Sam Taylor-Wood entra nei circuiti industriali cine-video dirigendo un corto su un pezzo d’opera dai Pagliacci di Leoncavallo. Più tardi dirigerà un videoclip del gruppo musicale REM. E infine dirige un biopic industriale su John Lennon.
Ma le sfilate e i passi di danza di massa appaiono anche in alcune sequenze memorabili del Cremaster di Matthew Barney, anch’esso nel 1994, rielaborando le desuete immagini dei vecchi film che assumono così contenuti diversi ed enigmatici. Nel lavoro di Marinella Senatore la componente musical è anche molto presente e nei primi video si ritrovano le situazioni classiche come il “boy meets girl” e i problemi sentimentali vengono descritti o risolti attraverso canti e danze. Oggi lavora sulle parate a ritmo di danza, azioni ritmiche e momento culminante delle coreografie di Busby Berkeley, regista/coreografo dei film musicali più visionari dell’epoca.
I finlandesi Tellervo Kalleinen e Oliver Kochta-Kallein partono da performance e video, con atteggiamento polemico verso l’arte che si vuole comunicazione, ma una comunicazione che resta pur sempre difficile ed elitaria. Preoccupati di ampliare partecipazione e comunicazione con il pubblico, gli autori contattano persone in diverse situazioni e chiedono loro quali siano i loro “complaints”. Orchestrati e diretti da professionisti in tutte le forme immaginabili di musiche improvvisate e popolari, saranno poi gli autori stessi delle lamentele a cantarne l’elenco infinito, che parte dalla scarsità degli autobus a problemi più gravi o più futili e personali. I Lamenti diventano un coro-pop-gregoriano, e a volte con gestualità improvvisate come i cori mobili di West Side Story. I Complaints Choirs si sono diffusi come un virus a Tokyo, Birmingham, Helsinki, Chicago, Singapore, Amburgo, Copenhagen, San Pietroburgo, Columbus, Milano, Linz e in altre città ancora.
Secondo la logica dell’arte relazionale (termine oggi consumato e sostituito da contatto, partecipazione, ma sostanzialmente ancora significativo) questi lavori partono con dichiarate volontà di rapporto con il pubblico, con preoccupazioni spesso sociali, con la volontà di uscire dalla logica degli spazi espositivi classici, dal “white cube” che continua a essere la piattaforma portante dell’arte. In più, o diversamente da molta arte di tema sociale, la presenza comunicativa della musica o della danza stabilisce un fattore inedito.
Già Nam June Paik negli Anni Settanta parlava della televisione (il video) come di una moderna forma di opera lirica, con la stessa commistione di linguaggi di massa e di linguaggi elitari. La leggerezza dell’azione, la familiarità del canto pop, la differenza di rapporto con le realtà del cantare e del ballare inseriscono le logiche dello spettacolo e del divertimento, logiche oggi imperanti nella comunicazione a tutti i livelli. Dati i contenuti sociali che fanno spesso da sfondo a questi lavori “danzanti e cantanti”, la sensazione è di vedere Ginger Rogers e Fred Astaire iniziare uno dei loro vorticosi giri di danza e di vederli trasformarsi in Rosa Luxemburg intrecciata con Che Guevara, per sempre roteanti su lucidissimi pavimenti.
Lorenzo Taiuti
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati