Quando le cose buone sono buone
Due ragazze aprono una gelateria a Brooklyn. Hanno un enorme successo e allora cosa fanno? Aumentano i prezzi e inaugurano altre sedi in giro per il mondo benestante? No, aprono un negozio analogo in Ruanda, gestito da sole donne. Storia e storie della filantropia gustosa.
Ormai è tutto: filosofia, cultura, moda, intrattenimento, design. Poteva non essere anche filantropia? Nell’epoca dei gastromaniaci, in cui mai come ora nella storia dell’umanità si parla così tanto e così spesso di cibo, quest’ultimo diventa anche l’oggetto delle più fresche e avvincenti iniziative filantropiche. Sì, il cibo è buono e la beneficenza più eloquente passa per il cibo. In Gran Bretagna c’è un vero e proprio boom di iniziative di solidarietà legate alle torte, ad esempio, non solo Free Cake for Kids, un’associazione che provvede a donare torte di compleanno realizzate dai volontari ai bimbi che hanno famiglie che non potrebbero permettersele, ma anche Bake for Bumps, dove chiunque decida di aiutare i bambini e le famiglie bisognose prepara torte in cambio di una donazione.
Quando c’è da cucinare sembra che nessuno si tiri indietro: del resto, è più facile ed edificante mettere le mani in pasta che dentro al portafoglio. Assistiamo così alla ricerca di modi diversi per rendersi utili alla società, poiché la semplice offerta di denaro non basta più per sentirsi partecipi di una “buona azione”. Se poi si può andare a cena e contemporaneamente fare qualcosa per gli altri, si prendono – per così dire – due piccioni con una fava.
Da dieci anni a questa parte, lo chef Massimiliano Alajmo organizza Il Gusto per la Ricerca, il primo evento gastronomico europeo nato a scopo benefico (raccogliere fondi da destinare alla ricerca scientifica sulle neoplasie infantili) che coinvolge i grandi nomi della gastronomia italiana. Ogni anno si racimolano oltre 150mila euro. Ma senza scomodare le tasche più gonfie, la filantropia gastronomica è davvero per tutti. Non serve infatti devolvere il conto di tavole stellate per sentirsi più buoni e fare la differenza, basta anche un cronut, un gelato o un caffè. The Cronut Project offre, appunto, i cronut a coloro che fanno una donazione alla Food Bank di New York e aiutano così i tantissimi affamati che vivono in città (un newyorchese su cinque si affida alle mense della carità). Qui da noi l’attore Luca Argentero ci prova con il caffè: sul sito 1caffe.org ogni giorno è possibile scegliere di finanziare un progetto di solidarietà semplicemente donando il costo di una tazzina. Anziché dire a un amico “ti offro un caffè”, quel caffè diventa un gesto di beneficenza. Se dunque la missione è responsabilizzare tutti a fare del bene e a vivere una vita più generosa tramite il cibo, esiste addirittura un sito (givintable.org) che permette di scegliere quale progetto di gastronomia filantropica sostenere in tutto il mondo e di sviluppare un proprio personale progetto benefico.
Di storie di cibo a lieto fine ne stanno nascendo a bizzeffe, ma quella che preferiamo è la storia della prima gelateria mai aperta in Ruanda. Comincia a Brooklyn, dove due ragazze nel 2007 aprono una gelateria diventata poi molto nota per la grande qualità dei suoi prodotti, la Blue Marble Ice Cream. I sapori sono semplici, gli ingredienti di stagione e la scelta è sempre per il benessere e la qualità, anche a scapito del margine di guadagno. I bambini di Brooklyn adorano quel gelato e così, pochi anni dopo l’apertura, Jennie Dundas e Alexis Miesen, le due proprietarie, fondano il progetto Blue Marble Dreams, organizzazione non profit che esplora il potenziale del gelato nel sostenere la gioia e la crescita economica fra le popolazioni disagiate. Perché ogni bambino dovrebbe godere di un gelato, a qualsiasi latitudine. C’è qualcosa di magico e terapeutico in un gelato, che mette allegria, strappa un sorriso e per un momento fa dimenticare i problemi. Con i soldi raccolti è stata aperta la prima gelateria del Ruanda, per di più è gestita completamente da donne. Come restare impassibili di fronte a modi così “deliziosi” di fare la differenza?
Martina Liverani
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #16
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