Requiem per la cultura
In un passo dei “Quaderni del carcere”, Gramsci ricorda la storiella del castoro che, “inseguito dai cacciatori che volevano strappargli i testicoli da cui si estraggono dei medicinali, per salvar la vita, si strappa da se stesso i testicoli”. Immagine efficace della salute civile e politica di un Paese che vanta il più grande patrimonio storico-artistico dell’Occidente.
Rinnegata dai suoi figli, la cultura d’Italia è svenduta al miglior offerente. Un talk show è preferibile a un film di Rossellini. Nella distrazione gli uomini si liberano dal pensiero, evadono dal presente. Dallo spirito della cultura allo spiritismo pubblicitario il passaggio è senza appello. Il fatto è che la politica culturale italiana degli ultimi vent’anni è stata culturicida, assassina, perseguendo un istinto di morte che è la ragion cinica del nostro tempo.
I greci, da cui abbiamo appreso la democrazia, assassinarono Socrate. Il suo scetticismo pedagogico era insopportabile per un’oligarchia abituata a disporre di tutto, pure della vita degli altri, se occorreva. Come non dar ragione a Hegel quando diceva che la Storia non è il luogo della felicità? I periodi felici sono pagine vuote nel libro della Storia. Molti artisti, scrittori, filosofi, rivoluzionari ecc. hanno provato a riempire queste pagine vuote.
Un sistema che vive dell’esclusione della cultura è un sistema al grado zero della sua esistenza. Si vive come gli insetti. Si muore accidentalmente. Il crimine come il delitto non è un concetto astratto. Piomba sulla vita degli uomini come un fulmine. Il delitto, di cui Hegel sotto le gesta di Napoleone discorreva in quanto guerra fra Stati, è oggi passato nella vita quotidiana. Ciascuno conta la propria Waterloo. Dalla chiusura dei teatri ai musei, dall’ambiente devastato alle scuole smantellate. Un cumulo di macerie è il paesaggio in cui l’arte – a volte disinvoltamente come una puttana – si muove.
A Istanbul uno studente durante una conferenza mi chiede perché insisto sul concetto di “egemonia culturale e violenza dell’arte” in un mondo dove l’arte esprime solo individualismo. In fondo ha ragione. Le rivolte di Gezi Park hanno aperto un presente carico di futuro condiviso. E la Biennale di Istanbul non s’è fatta scappare l’occasione: la difesa dello spazio comune è stato il tema prevalente. Una cultura che non si riconosce più nel comune è una cultura morta.
Marcello Faletra
saggista e redattore di cyberzone
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #16
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