Una faccia sofferta, su cui potevi leggere timidezza, disagio, tormento. Le sue immagini erano un po’ come lei: scarne, asciutte, spigolose. Donne dallo sguardo basso, pose malinconiche, spazi desolati, camere da letto e specchi, oggetti abbandonati. E, su tutto, la straordinaria capacità di dosare i grigi e conferire drammaticità alla fotografia.
Kate Barry era la prima figlia di Jane Birkin, nata dalla relazione con John Barry, uno dei più celebri e premiati compositori di musiche da film, come quelle di James Bond, de La mia Africa e di Balla coi lupi. A crescerla è, però, il mitico Serge Gainsbourg, che sua madre conosce nel 1968 e col quale l’anno dopo inciderà Je t’aime moi… non plus. Kate cresce così con una madre bellissima e un patrigno geniale e bizzarro, incerta sul cammino da prendere, diversa e più riservata delle sorelle minori, Charlotte Gainsbourg e Lou Doillon, entrambe divise con successo tra il cinema e la musica. Ma allo schermo e al microfono Kate preferisce la fotografia, un mezzo che le permette di esprimere la propria creatività in maniera più intima. E chissà, forse anche un modo per stare meglio con se stessa, di sentirsi più sicura e felice. Diceva di sé: “Per molto tempo, la mia macchina fotografica era una difesa contro la malinconia che provavo”.
Kate era protagonista in maniera diversa, più discreta, da dietro un obiettivo, attraverso il quale “spiava” grandi icone moderne come la Deneuve, la Bellucci, la Bruni, la Bonham Carter, la Swinton, e sua sorella Charlotte. I suoi tanti ritratti di star femminili non sono mai glamour o ammiccanti, ma possiedono una basilare grazia e un’elegante essenzialità. Fluttuante nell’ambiente boho-chic, pur lavorando nel campo della moda (Elle, Vogue, Sunday Times, Paris Match), sentiva poi la necessità di allontanarsene e di dedicarsi a qualcosa di più concreto, di meno frivolo, come testimoniano i bellissimi ritratti degli operai e degli impiegati del più grande mercato di carne d’Europa (Les Gueules de Rungis, 2009) o le ipnotiche, meste immagini della cittadina bretone Dinard, per un libro a quattro mani con lo scrittore Jean Rolin.
Alla fine di settembre aveva inaugurato un nuovo spazio espositivo al Marais, la Galerie Cinéma, con una serie di ritratti e di nature morte dal titolo Point of View, e soltanto pochi giorni fa appariva sorridente accanto alla sorella Charlotte e alla celebre mamma, per la presentazione del libro Jane&Serge, una raccolta di foto che lo zio Andrew Birkin ha scattato alla sorella e al cognato maudit tra gli Anni Sessanta e gli Ottanta. Kate, si è scritto in questi giorni, è rimasta schiacciata, forse, dal peso di una madre icona, dal successo crescente delle sorelle, da una vita bohémien e dalla dipendenza da alcool e psicofarmaci. Sarebbe però superficiale e irrispettoso nei suoi riguardi spiegare semplicisticamente con tali argomenti il perché del suo gesto, che non può e non deve riguardarci. È pur vero, tuttavia, che quell’inquietudine che l’ha spinta fuori da una finestra nella fredda Parigi in dicembre è la stessa infusa nelle foto che ha creato in questi anni, dominate da spazi vuoti e senza allegria.
Giulio Brevetti
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