Artecucina: il bianco di Robert Ryman e Michele Biagiola
Aldo e Carlo Spinelli, padre e figlio, artista l’uno e food journalist a tutto tondo l’altro, cercano di trovare somiglianze fra l’arte e la cucina. Esiste un’affinità tra il bianco dell’artista concettuale Robert Ryman e quello candido, quasi mimetico, nel piatto dello chef stellato Michele Biagiola dell’Enoteca Le Case a Macerata? La prima uscita del Doctor Gourmeta su Artribune.
Ci vuol poco a dire bianco. Un piatto bianco e vuoto, un quadro prima di essere dipinto. Il “prima” significa l’attesa – come le tele tagliate di Lucio Fontana – oppure la potenzialità del futuro. Il “dopo” può essere una scelta di tipo cerebrale, come le mappe vuote e albine delle opere Art & Language e A painting of twelve strokes di Robert Ryman. Ma il bianco può assumere spessore (e sapore) quando la materia si condensa sulla superficie.
Il bianco assoluto (come del resto il nero) ce lo insegna la fisica che non esiste: a parte le sue variegate e quasi impercettibili sfumature, la sua corposità può arricchirsi di ombre e la sua superficie presentare differenti consistenze, dal lucido marmoreo al rugoso o al sabbioso. Così come la cromaticità godereccia tra i piatti di cucina, soprattutto quello completamente bianco di Michele Biagiola, cuoco di gran tono nella campagna di Macerata: Panna cotta di yogurt, pesto di pinoli e menta, granita di cocco.
L’idea rimanda a quella di Ryman: la ricerca del bianco, il dubbio nel capire se il bianco può dare risultati organolettici potenti, l’eleganza di elementi combinabili. È evidente lo scontro sinestetico: da una parte il bianco omogeneo davanti agli occhi, dall’altra il caleidoscopico gusto che disorienta le papille, dando manforte al concetto popolare che l’abito non fa il monaco. Bianco monocromo e monotono come gli Achrome di Piero Manzoni, che attraverso il nulla suggeriscono il senso dell’infinito, o appunto quello di Robert Ryman, che da più di cinquant’anni dipinge solo quadri bianchi che hanno una componente meno filosofica e più percettiva.
In Ryman esiste il gusto del bianco che può apparire diverso quando è ottenuto con diversi materiali oppure è disteso sulle più varie superfici. Se per Manzoni “non c’è nulla da dire: c’è solo da essere, c’è solo da vivere”, per Ryman “non esiste la domanda ‘che cosa dipingere?’ bensì ‘come dipingere?’”. Dipingere il bianco (o creare un piatto completamente bianco) equivale dunque a risalire alla base, al principio della pittura (o della cucina non più scenografica, ma quasi d’avanguardia), prima ancora che si costruisca la forma. E che sia smalto su metallo o gesso su tela, se ne può distinguere il sapore del suo antico sapere, proprio come il palato e non l’occhio distinguono il cocco dalla menta.
Aldo e Carlo Spinelli
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