At the Heart of It All: un reportage dalla Florida
Nel villaggio indiano Miccosukee, in mezzo alle Everglades, gli indiani discendenti della tribù si guadagnano da vivere simulando la loro antica vita scomparsa. L’esistenza presente consiste nella simulazione reiterata di uno stile, di un’eredità, di un patrimonio di valori che è stato completamente distrutto. Cosa dice a noi questo fatto?
Ho questo globo di silenzio che mi cresce in testa
e si espande, si espande, riempiendomi il cranio,
creando un grande spazio vuoto. Sto subendo
una lenta emorragia di realtà.
Robert Silverberg, Morire dentro
(Dying Inside, 1972)
“Se il mondo è troppo grande, rendilo più piccolo.
Trasformalo in un’isola in mezzo all’oceano. Concentrati
sull’unica cosa che ti interessa, su un unico
obiettivo, e isolalo dal resto.”
La madre adottiva a Clark Kent bambino in
Man of Steel (Zack Snyder 2013)
La Divaricazione. L’Occidente viaggia su questo binario da qualche decennio, vorticosamente: l’intelligenza recede. “Money rules everything in the world”. Se si accetta questa precondizione – con tutti i suoi addentellati – allora occorre accettare anche la conseguente inalterabilità degli effetti, l’assoluta prevedibilità delle opere. (La loro stupidità sconsolante, la disperazione che questa prevedibilità e questa stupidità portano con sé in dote.)
Blue chips. Non si può desiderare di essere sconvolti se poi ogni impatto è previsto, calcolato, di fatto inesistente. Un “impatto” presuppone una sensibilità, un gusto che si costruisce per shock e urti successivi, per deviazioni, per sostituzioni. Quando ogni percorso è sicuro e stabilito una volta per tutte, non c’è – letteralmente – più un percorso.
Dov’è allora la divaricazione? Nel non desiderare più ciò che è stabilito occorra desiderare. Nella ribellione e nella critica culturale, che imparano di volta in volta come resistere a un sistema, come opporsi efficacemente a un dispositivo. (Dice: è una finzione. Certo, più o meno come ogni costruzione sociale.) Questa resistenza, questa ribellione, questa critica sono e diventano reali nel momento stesso in cui le si porta avanti come istanze coerenti, come pratiche ragionevoli, all’interno di una ricerca duratura circondata da ciò che ragionevole non è. I want to be absorbed.
Nel villaggio indiano Miccosukee, in mezzo alle Everglades, gli indiani discendenti della tribù si guadagnano da vivere simulando la loro antica vita scomparsa. L’esistenza presente consiste nella simulazione reiterata di uno stile, di un’eredità, di un patrimonio di valori che è stato completamente distrutto. “Ancient Traditions. Today’s Adventures”, recita il dépliant. Un secolo fa li hanno costretti a rifugiarsi in una palude piena di alligatori per sopravvivere (erano rimasti in cento). E, dopo lo sterminio fisico, quello mentale e culturale: una disneyficazione completa delle modalità di vita (“la replica deve avvenire secondo le nostre regole, le nostre convenzioni, la nostra prospettiva: le vostre sono e saranno inaccessibili, abrogate”) e un ristorante-fast food a un miglio dal villaggio dove mangiare alligatore fritto a volontà. Ecco come si estingue una civiltà.
“Un muro separa gli alligatori dagli spettatori, ma nulla separa gli animali dai coraggiosi che osano sfidarli. Preparate le vostre macchine fotografiche perché vedrete un uomo comandare un animale che possiede denti che misurano almeno un piede. Gli alligatori sono cattivi e pericolosi, ma non affamati; due volte al mese vengono loro serviti polli freschi, appena acquistati al supermercato”.
Questa trasformazione sta investendo ognuno e ogni cosa. Tutto ormai tende ad assomigliarsi ovunque, le differenze culturali e materiali svaniscono, evaporano, si annullano.
E l’Italia? L’Italia è una zona compressa e distopica; sta seguendo questo flusso, questa corrente di mutazione, con ogni probabilità nella maniera peggiore. Annichilisce l’artigianale, il “ben fatto”, per lanciarsi verso l’abbandono, la privazione, la dissoluzione. Modernità realizzata e postmodernità incompresa (più una dose sempre più strepitosa di cialtroneria) hanno generato, stanno generando un presente incompleto. Distorto.
Visto da qui, il clima “negativo” italiano è a sua volta una retorica consolatoria, la più potente e perniciosa: è un altro modo per illudersi della sopravvivenza del vecchio ordine, del vecchio sistema. Ma è, appunto, un’illusione che interrompe e sospende la transizione. (In questo senso, arte contemporanea e politica sono due sistemi perfettamente sovrapponibili.)
Il clima non cambia finché non cambiano le persone; ci si affida al “già fatto” (il boom, per esempio…) senza voler affrontare le precondizioni nuove che si sono create, il cambiamento, la trasformazione mentale richiesta. Questa trasformazione deve riguardare la vita quotidiana delle persone, il sistema di valori che orienta le loro scelte a ogni livello, lo spazio-tempo esistenziale e l’attitudine fondamentale nei confronti del contesto mutato. Della realtà in movimento.
Christian Caliandro
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