Cile: cultura e cittadini quarant’anni dopo Pinochet
Era l’11 settembre, ma del 1973: Augusto Pinochet portava a compimento il golpe militare in Cile bombardando La Moneda, palazzo presidenziale che all’epoca ospitava Salvador Allende. Anche l’Edificio Diego Portales è strettamente legato alla dittatura, poiché è stato a lungo il quartier generale della famigerata Junta. Ora entrambi vivono una nuova vita, trasformati in centri culturali rispettivamente da Cristián Undurraga e Cristian Fernandez.
La cultura architettonica cilena è sempre più legata alla collettività. Riscoperta e sviscerata durante l’ultima Biennale di Architettura svoltasi in Cile nel 2012, il cui titolo Ciudades para Ciudadanos (Città per i Cittadini) metteva in luce un aspetto della società fino a quel momento accantonato: il futuro delle città va pensato in relazione ai cittadini. Una svolta rispetto a quanto avvenuto nel recente passato con la dittatura di Pinochet, durata per diciassette anni, fino al 1990. Un cambiamento anche in termini architettonici.
Tutta la Biennale si fondava sull’importanza della partecipazione. Un approccio inevitabile in un Paese con 17 milioni di abitanti e oltre 25mila architetti. Un vincolo, questo fra cittadini e architettura, ben espresso in almeno due opere nella capitale. Nel 2006 è stato inaugurato il Centro Cultural Palacio de La Moneda, al di sotto del palazzo in cui ha sede il governo. Nello stesso anno, un incendio distruggeva l’Edificio Diego Portales, simbolo della dittatura, poi ricostruito e riassegnato a una nuova veste culturale con il nome di Centro Cultural Gabriela Mistral, in onore della poetessa Nobel per la letteratura.
Il Centro Cultural Palacio de La Moneda è inserito in una serie di opere pubbliche programmate per il bicentenario dell’indipendenza. Il risultato è una grande piazza urbana pedonale sul lato sud del palazzo neoclassico La Moneda – residenza ufficiale del Presidente della Repubblica cilena – al di sotto della quale si sviluppano, su tre piani ipogei, gli oltre 7.200 mq del centro. Il progetto, firmato da Cristián Undurraga (classe 1954), è l’espressione materiale di una nuova politica, in cui alla marcata identità locale si affianca una visione collettiva di spazio pubblico. Il tutto in uno dei luoghi simbolo del potere nazionale, nel cuore storico della città, il Barrio Cívico.
Il contorno, disegnato dai palazzi razionalisti degli Anni Trenta, è monumentale e ad alto impatto. Il centro culturale opera una leggera ma incisiva mitigazione del carattere istituzionale, scegliendo linee pulite ma decise, evitando qualsiasi forma di eccesso decorativo. Grandi rampe fanno scivolare il visitatore dalla piazza esterna – plaza de la Ciudadanía – alla hall interna, un ampio open space illuminato dalla luce zenitale diffusa da un filtro opalino. Gli spazi interni sono neutri e flessibili, al servizio delle mostre temporanee di arte contemporanea che qui si avvicendano frequentemente; sempre nel complesso si trovano il Centro de Documentación de las Artes Visuales, la Cineteca Nacional, un laboratorio digitale, ristoranti, caffè e negozi.
Ma l’esperimento che più di tutti rappresenta la cultura contemporanea cilena è il Centro Cultural Gabriela Mistral, considerato uno degli esempi più significativi realizzati a Santiago negli ultimi anni. A seguito di un concorso internazionale bandito nel 2007 e vinto da Cristian Fernandez (classe 1960), la prima parte del centro viene inaugurata a fine 2010, mentre nel 2014 si completeranno gli ampliamenti richiesti successivamente. Un grande campus, con tre volumi che rappresentano le funzioni principali: il Centro de Documentación de las Artes Escénicas y la Música, la Sala de Formación e il grande teatro per 2.000 persone. Separati a livello stradale, hanno in comune la copertura, la quale crea diversi spazi urbani di libera fruizione. Il risultato è un complesso dedicato alle arti e alla cultura, variegato ma unito da un medesimo linguaggio formale.
Il riferimento per questi due esempi cileni è da ricercare nella scuola dell’architetto spagnolo Rafael Moneo (classe 1937 e Pritzker Prize nel 1996), ove sono centrali la dimensione urbana e collettiva dell’architettura, la qualità costruttiva e – non ultima – la relazione con la storia. E infatti entrambi i centri culturali sono luoghi ben accolti dai cittadini. Un condensato di diverse attività, dove viene mantenuta l’atmosfera e la scala del quartiere e della società cilena.
Zaira Magliozzi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #16
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