Croazia anno zero
È li, appena a mezz'ora di auto da casa nostra (se si vive a Trieste). Eppure la conosciamo solo per il turismo e per i brandelli di storia che ci hanno accomunati, e nemmeno ci siamo accorti che tutto stava cambiando. Fresca di UE, ecco a voi la Croazia, in un'analisi che descrive la situazione politico-economica, culturale e artistica del Paese.
La Croazia ha iniziato il suo percorso ufficiale come membro dell’Unione Europea il 1° luglio 2013, mentre l’UE non smetteva di chiedere a tutta la regione dei Balcani due tipi di interventi: il primo riguardante le riforme sul piano economico, politico e istituzionale; il secondo concernente una forte collaborazione regionale basata sulla pacificazione dell’area, raggiunta in alcune zone solo formalmente, senza che sia maturata sul piano culturale.
Decine di migliaia di persone, insieme al presidente Ivo Josipovic, hanno festeggiato a Zagabria l’obiettivo raggiunto dopo dieci anni di lunghe e difficili riforme. Però la 28esima stella dell’Unione ha sì da festeggiare, ma anche molto da preoccuparsi: se infatti l’entrata in Europa rappresenta una sorta di rigenerazione dalla guerra balcanica, i rigidi vincoli economici preoccupano notevolmente autorità e cittadini. La Banca Nazionale Croata sostiene che ci sono segnali di una debole ripresa economica che dovrebbero essere visibili nel breve termine, ma non è escluso che una delle prime esperienze di Zagabria come membro dell’Ue sia l’apertura di una procedura di infrazione per deficit eccessivo, nonostante la Croazia abbia sostenuto negli ultimi anni un vero e proprio tour de force e una serie di privatizzazioni, tra cui la cessione della società croata per il trasporto ferroviario.
Secondo l’esperto di economia Vladimir Preveden, sul piano aziendale c’è ancora poca concorrenza: le stesse aziende dovrebbero diventare più internazionali per trovare partner forti; il turismo, invece di concentrarsi soltanto sulla stagione estiva, dovrebbe ampliarsi durante tutto l’arco dell’anno. Tutto ciò andrebbe idealmente combinato con il potenziamento della bio-produzione agricola (sono vastissime le aree incolte) e con l’incremento delle energie rinnovabili.
Come si traduce questo quadro nella realtà artistica? Quali sono le aspettative per le istituzioni culturali e gli artisti in un Paese in cui il tasso di disoccupazione giovanile è tra i più alti d’Europa? Quali potenziali possono essere sfruttati dal mondo dell’arte?
I pareri sono molteplici e contrastanti, e rispecchiano la volontà di un Paese quasi spaccato in due.
La curatrice Vanja Žanko – lavora al Lauba, uno degli spazi di tendenza dedicati all’arte e alla cultura contemporanea a Zagabria – asserisce che i giovani artisti hanno già da tempo iniziato a collaborare con gallerie commerciali in tutto il mondo, e sicuramente con l’entrata in Europa il network sarà ulteriormente agevolato. Spera nello sviluppo del mercato dell’arte, auspicando che diventi più dinamico e globale. Vatroslav Miloš, redattore capo della rivista Kulturpunkt, descrive invece una situazione disastrosa, al limite della sopravvivenza: artisti e operatori culturali costretti a lavorare nel precariato e sottopagati, quasi a voler giustificare il loro operato. “È come vivere in un romanzo di fantascienza”, ci racconta. “L’austerità imposta negli ultimi due anni ha completamente immobilizzato la produzione delle organizzazioni non governative. Gli artisti sono lavoratori autonomi con un salario minimo, in quanto non possono permettersi di pagare le tasse più sostenute, che impedirebbero loro di acquisire materiale e pagare per gli spazi dei loro studi”. Lo stesso vale per i giornalisti e i critici che coprono la scena artistica, che sono assunti con contratti part time e devono sostenere prezzi commerciali per l’affitto degli uffici. Tuttavia lo stesso Miloš ci descrive una scena culturale indipendente molto viva ed entusiasmante, con una produzione di opere di alto contenuto, molto più emozionante del patrimonio prodotto dalle istituzioni negli ultimi decenni.
La sua tesi è avvalorata dagli incomparabili risultati qualitativi e quantitativi ottenuti ad esempio dai collettivi curatoriali WHW – What, How and For Whom, BLOK e Kontejner, dal collettivo di arti performative BADco, dal collettivo urbanistico/architettonico Pulska grupa e da artisti come Andreja Kuluncić, Dina Rončević, Davor Sanvincenti e Marko Tadić.
Il futuro è incerto, ma anche Vatroslav spera e crede che ci sarà un leggero incremento di scambi culturali e residenze, ed è convinto della necessità di lavorare per un fronte comune transnazionale e transpolitico. Anche se si intuisce una velata ironia attinente al possibile potenziale offerto dal contesto odierno: “Numerosi progetti indagano le dinamiche relative alla disoccupazione e al rapporto fra arte e denaro, soffermandosi sulle precarie condizioni di chi opera sotto la costante preoccupazione di perdere il lavoro, o di chi non è pagato anche in relazione al lavoro artistico. In questo senso, l’arte e la fiction sono diventate uno dei veicoli più importanti per criticare la nostra realtà sociale, le politiche governative, le misure repressive e i deliranti aumenti dei prezzi di mercato”.
Durante il socialismo tutti i progetti culturali erano finanziati dal governo e per i musei istituzionali è ancora così: ci potrebbe essere una leggera flessione nel bilancio, ma niente di serio. Drazen Grubisić, artista e fondatore del Museum of Broken Relationships di Zagabria, ci spiega che tutti i teatri, gallerie e musei hanno ancora abbastanza sovvenzioni per continuare la propria attività. Diverso, come al solito, è lo stato dell’arte nel settore privato, dove c’è la necessità di maggior impegno e competitività: “Il nostro museo è al 100% autofinanziato, non otteniamo alcun sostegno da parte del governo, ma siamo ancora in grado di funzionare, perché siamo diventati un must tra le destinazione dei i turisti in visita a Zagabria. L’anno scorso abbiamo dovuto annullare la nostra mostra al museo di Rotterdam perché il governo olandese ha tagliato i loro finanziamenti del 40%, hanno anche dovuto licenziare alcune persone. Qui nessuna delle istituzioni artistiche ha dovuto licenziare gli impiegati, al contrario. Quindi, da questo punto di vista, nulla sta cambiando”.
Per quanto riguarda la situazione degli artisti, l’istruzione è gratuita per i più meritevoli, si può usufruire dei materiali all’interno delle accademie, dopo tre mostre si può entrare a far parte dell’Unione degli artisti – istituita in epoca titina – e aver diritto a un’assicurazione sanitaria gratuita e a una pensione sociale, ed è possibile fare richiesta per uno studio vitalizio dove poter lavorare. Di contro non c’è un collezionismo, non ci sono vere e proprie gallerie private che promuovano i giovani artisti, sono assenti figure manageriali e gli artisti sono isolati di fronte ai problemi burocratici. Insomma, tirando le somme, il punto di vista di Grubisić è sicuramente ottimista: non bisogna aspettare fondi governativi ma attingere da quelli disponibili, e l’annessione all’Europa può essere una ulteriore occasione.
Come per tutti i Balcani, indipendentemente dalle difficoltà contemporanee, dagli innumerevoli cambiamenti politici e dalle turbolenze passate, la Croazia è un territorio ricco di emozioni. In quest’ottica, tutte le instabilità e le difficoltà hanno contribuito a rendere ancora più interessante l’espressione artistica. Nel suo cammino futuro, sicuramente non timoroso del cambiamento, per ora si intravede la comune volontà di trovare una stabilità, una giusta soluzione.
Zara Audiello e Daniele Capra
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #16
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