What never is, but only is to be
This is not Life: –
Samuel Taylor Coleridge
La “riconquista” della realtà non si configura affatto come un ritorno, nostalgico (e del resto impossibile: il mondo del passato, degli Anni Sessanta come degli Anni Ottanta, non esiste più). È piuttosto la fissazione, il riconoscimento di questo presente così indefinito, sfuggente, spettrale, schizoide, distopico. È la cattura di questo strano “fantasma concreto”, di questa “materia immateriale” di cui è fatto il tempo in cui ci è dato di vivere, caratterizzato da una condizione di splendida e terribile inabitabilità: “In questo lungo gioco di sguardi (di campi e controcampi, di canti e controcanti) che attraversa lo spazio nazionale si concentra il fantasma concreto ed evanescente di un paese claustrofilico, la grande microscopica capsula temporale da cui non riusciamo a venire fuori” (Giorgio Vasta, Altare della patria, “minima & moralia”, 18 novembre 2011).
Un realismo inedito per una realtà inedita: la condizione spettrale è infatti, molto probabilmente, quanto di più contemporaneo ci sia oggi.
Lo spettro continua a perseguitare il mondo dei vivi, ma non ne fa più parte. Si aggira per le strade, per le scuole, per i luoghi di lavoro, per i palazzi del Potere, e considera pensieroso l’esistenza di coloro che occupano questi spazi. Anche lui li occupa – e in maniera forse più penetrante, di sicuro più consapevole rispetto al presidio fisico – ma nessuno si accorge di lui. È invisibile (tranne che ai pochi dotati di particolari facoltà medianiche). È ignorato dalla gente, solo come può esserlo un fantasma, dal momento è scollegato dagli uomini e dalla realtà.
La natura di questo distacco consiste nel non poter incidere veramente su di essa, pur conoscendola a fondo e sempre meglio: nel poterne fare un’esperienza unicamente mediata. La condizione umana, intesa come pienezza dell’azione che consegue al pensiero, gli è preclusa. Non può toccare gli oggetti e le persone, non può ottenere un contratto a tempo indeterminato, non può abbattere i governi.
L’unico potere che gli rimane è quello di ossessionare gli altri. I vivi (o supposti tali). Di tormentarli con la sua presenza-assenza, con la sua storia. Lo spettro è come l’idea: ti possiede fin quando non ti identifichi con essa.
Il fantasma concreto, che non è vivo, almeno ricorda. Lo spettro corporeo è la storia. C’è un film gustoso e semi-dimenticato del 1961, Fantasmi a Roma, diretto da Antonio Pietrangeli e scritto da Ennio Flaiano, che restituisce bene il senso di questa condizione: i fantasmi, in questo caso, addirittura ‘ricreano’ abilmente la Storia perché riescono a rendere il palazzo che abitano un “bene architettonico”, salvandolo così dagli speculatori edilizi. L’anno dopo, Mario Soldati pubblica la raccolta di racconti Storie di spettri, in cui rinverdisce e aggiorna la tradizione anglosassone delle ghost stories: gli spettri in questione sono in tutto e per tutto i depositari della memoria, le tracce di epoche tramontate per sempre, che si identificano strettamente con i luoghi carichi dell’identità nazionale (Torino, Roma, Genova, Venezia, il Lago Maggiore).
Il fantasma concreto è dunque un movimento: un modo di percepire e produrre arte.
Un fantasma incarnato e di cemento (concrete), il nostro presente distopico e metafisico; paradossalmente più solido di una realtà che tende a sfaldarsi, sfrangiarsi, essiccarsi.
È una condizione al di là della confusione, del caos, della moda: è la condizione di un fantasma dotato di corpo, di sensi, di sensualità, di un cervello che comprende. Il fantasma corporeo è l’esatto opposto di un corpo che svanisce, che tende a evaporare: dall’evanescenza, dall’incorporeità, dall’immaterialità esso tende infatti alla concretezza, alla fisicità. Il fantasma concreto è dunque un movimento: una tensione, un meccanismo orientato. Un’atmosfera fatta di oscurità controllata e dominata perfettamente. Pervasa dall’inquietudine di vedere sfaldarsi e smagliarsi i confini tra le dimensioni temporali, secondo un processo inverso a quello della presentificazione descritta da Fredric Jameson.
Le zone storiche e psichiche del passato e del futuro non scompaiono, non si annullano nel presente (non vengono più colonizzate da esso), ma precipitano e vivono e si installano in esso: dilatandolo, occupandolo.
Christian Caliandro
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