We are the dead
George Orwell, Nineteen Eighty-Four (1948)
L’epoca dei fantasmi è, per sua natura, per definizione, l’epoca della riflessione. In cui si considerano le cose fatte (le azioni del passato), e si riflette sul da farsi.
È proprio tutta la nostra prospettiva che è spettrale. Il nostro modo di muoverci nel mondo. Lo stesso vedere film e ascoltare dischi in streaming, leggere libri sul proprio ebook reader: tutti prodotti nel passato, oggetti-non-oggetti con cui di fatto non abbiamo alcuna relazione se non una fruizione completamente scollegata dal contesto di produzione. È lo sguardo che può avere un fantasma, che si interessa alle cose, ma fuori dalla realtà, fuori dal mondo.
I file presenti nel nostro computer, o nell’iPad, nel lettore mp3 o in qualsiasi altro dispositivo sono, appunto, file. Sono privi di storia, sorta di non-oggetti. Completamente smaterializzati. Non essendo oggetti fisici, tangibili, non possono fornire agganci e tracce per i ricordi delle persone. Dalla loro possiedono l’indiscutibile vantaggio di una vastità pressoché infinita dell’archivio a disposizione, dunque della nostra possibilità di scelta.
Questi non-oggetti culturali sono puri fantasmi senza passato (e già questa è una perfetta contraddizione contemporanea, visto che i fantasmi sono sempre stati i depositari della memoria e della Storia). Vivono, per così dire, “oltre il velo”, in una sorta di Iperuranio che sembra discendere direttamente dalla tradizione filosofica occidentale, e il cui ultimo nome in ordine di tempo, non a caso, è proprio cloud: la nuvola, già famosa e oggetto dei desideri collettivi, che conserverà tutti i nostri dati.
E non hanno rapporto, nonostante le apparenze, con la vita degli uomini. Sono eternamente presenti. È come se ci fossero sempre stati. Questo è un ulteriore riflesso dell’amnesia collettiva, dell’incapacità di percepire storicamente i fatti, che ha ormai un lungo (storico) retaggio. I fatti e gli eventi sono come gli oggetti, in tutto assimilabili ad essi. E ad essi sono collegati. Se gli oggetti si tramutano in versioni simulacrali ed immateriali di se stessi, se scompaiono, scompare anche la Storia.
La percezione dello svolgimento storico è strettamente connessa alla nostra esperienza del tempo. Il modo in cui fruiamo gli oggetti culturali smaterializzati e digitalizzati attraverso i nostri dispositivi è sintomatico dell’immersione in un presente che annulla le dimensioni del passato e del futuro. (Perché siamo terribilmente incuriositi dal periodo che immediatamente precede la nostra nascita? Che rapporto c’è tra il nostro ingresso nel mondo, e nella storia, e la nostra percezione dello scorrere del tempo?) Comunque, è vero che se io voglio vivere unicamente nel biennio 1985-86 o 1975-76 o 1955-56 (ascoltare solo musica prodotta in quei due anni, guardare solo film usciti in quei due anni, leggere solo libri e notizie di quei due anni ecc.), oggi lo posso fare davvero: prima, no. E che cos’è, questa, se non un’evocazione?
(I fantasmi sono i ricordi.)
Il fantasma concreto agisce sulle dimensioni spazio-temporali in un modo molto specifico. La sua gestione del passato e del futuro è diametralmente opposta a quella del “presente perpetuo”, ma analoga per funzionamento interno: se il presente perpetuo, infatti, estende il suo cono d’ombra sulla storia e sul non ancora avvenuto (“esisto solo e soltanto io: tutto è sempre stato e sempre sarà come me”), sulla base di una costruzione sociale e culturale (illusoria), il fantasma concreto ossessiona questi differenti territori che nella sua esperienza coesistono, e lascia che collassino all’interno del presente. Siamo sempre in presenza di una dilatazione – ma la sua qualità è radicalmente differente da un’operazione all’altra. Dal punto di vista del fantasma concreto, le zone temporali diventano estremamente permeabili; anche la gestione delle zone spaziali è sottoposta al medesimo regime: interno ed esterno tendono a confondersi, a sovrapporsi, a perdere i rispettivi contorni. Il buio mangia le forme, e ne fa emergere lati inediti; un tappeto viene seppellito e comincia a decomporsi; un angelo barocco diventa una macchina del tempo.
Una sensazione diffusa di sospensione ci attraversa e attraversa questo presente. Qualcosa di molto preciso, e al tempo stesso inafferrabile, ineffabile, evanescente: oscuro. A differenza che in altri momenti e in altre epoche (avanguardia?) non c’è alcuna nevrosi, alcuna isteria in questo atteggiamento (metafisico?). C’è un’attitudine, invece, contemplativa. Una predisposizione alla contemplazione: una calma oscura.
Christian Caliandro
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