Kira Perov e Bill Viola: il tempo di una tazza di tè
Impegnati in un raccolto tour italiano per presentare i video “The Encounter” (Gam, Torino), “The Raft” (Palazzo Te, Mantova) e “Self Portrait Submerged” (Galleria degli Uffizi, Firenze), la coppia Kira Perov-Bill Viola (coppia nella vita e nell’arte) si dichiara “felice di poter fruire di un dialogo diretto con il pubblico per provare a raccontare la genesi di alcuni recenti lavori”. E allora li abbiamo incontrati.
Ero l’ultima di una serie di giornalisti a intervistare Kira Perov e Bill Viola al Caffè della GAM di Torino. Comunicandoglielo, Viola ha fatto il segno della croce e ha riso di cuore. L’incontro è cominciato così, in un clima cordiale e di grande accoglienza verso chiunque gli rivolgesse parola. M’interessava chieder loro se il rapporto corpo-mente – pesante binomio prodotto dal pensiero occidentale – fosse percepito come un unicum durante l’intuizione creativa, e se alcune pratiche orientali (tai-chi, yoga, meditazione) potessero esser d’aiuto nel momento in cui si dà forma a un’idea. È stata soprattutto la loro espressione di semplicità, nel linguaggio e nei modi, a darmi risposta.
“Ero un ragazzo tranquillo in gioventù, a tratti sopraffatto dal mondo esterno”, esordisce Viola, “ma con un enorme mondo interiore vivo dentro di me. Il disegno era l’attività del corpo che consentiva lo sfogo di questa densità interiore, di questa forte sensibilità”. Proseguendo, insiste su come qualsiasi sensazione, emozione e pensiero passi in forma di energia nel nostro essere e sia emanata all’esterno divenendo canale di connessione. Solo portando fiducia e ascolto all’ampio “spazio interiore” (che incuriosiva gli amici, che al tempo – dice – “non lo capivano”), può diventare presenza di sé e scambio con il mondo esterno. “Quando inizio un nuovo lavoro non so esattamente cosa andrò a fare”, afferma, lasciando intendere con quanta cautela occorra prendersi cura dell’intuizione che sta per dar vita a un nuovo progetto. “Una serie di gesti semplici e ordinari mi permettono la concentrazione: una piccola meditazione al mattino, la musica e il tè. Il tè in particolare mi aiuta ed esser presente a quel che sto facendo. Mi piace sceglierne di diversi per ogni momento della giornata e della condizione in cui mi trovo”. Parole intervallate dal riso, rivelatore di un bellissimo pudore. “Il toccare la tazza, le cose, mi riporta qui, al momento presente”, attraverso una routine che non ha niente a che fare con la ripetitività inconsistente di molti gesti che compiamo inavvertitamente ogni giorno.
“Nelle pratiche come il Tai-chi”, gli fa eco Kira Perov, “si fa esperienza del tempo attraverso il movimento nello spazio. La contrazione ed espansione del respiro del tempo passa attraverso la consapevolezza del corpo. Avere confidenza con il corpo significa percepire l’energia di cui è fatto”. Racconta poi di come dirigere performer significhi cercare attraverso i loro corpi quest’esperienza del tempo, fare in modo che essi siano guidati dalla “body memory”, forse il tempo naturale in cui l’energia si fa azione. Non per nulla la cifra che identifica i loro video è lo slow motion: dilatazioni di un tempo breve manifestate in sequenze fluide prossime all’immagine di un “presente lungo”. “Forse ciò di cui stiamo parlando”, conclude, “è quel che si chiama mindfulness”. “Sì”, gli fa eco Viola mentre sorseggia l’ultima tazza di tè, “esser coscienti di chi si è nel momento che si sta vivendo”. Da qui ai video della serie Mirage (di cui fa parte The Encouter, presentato a Torino), il passo è breve.
Emanuela Genesio
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