Media e innovazione
La discussione su economia e “cultura” procede in Italia tra apici di faziosità e retoriche della denuncia. È paradossale: proprio qualcosa di così specifico (o al contrario inafferrabile) come la “cultura” sembra essere divenuta da tempo, nei media italiani, uno stucchevole tema di esercitazione preconcetta.
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Straparliamo di arte, identità, “patrimonio”. Dimostriamo tuttavia un irresponsabile disinteresse per i processi immaginativi e la loro complessità. Intendiamo discutere di amministrazione della cultura o di creazione culturale? Di eredità o innovazione? Di passato o futuro? Dovremmo imparare a distinguere tra piani diversi, provvisti ciascuno di necessità specifiche.
L’ossessiva divaricazione tra antico e contemporaneo non aiuta. L’opinione pubblica occidentale riconosce a determinati momenti e figure della storia dell’arte moderna un interesse di carattere generale. Chiunque può discutere di Matisse, Picasso o Duchamp o mostrarsi interessato a loro: non il solo specialista. In Italia questo non accade: manca un’adeguata educazione alla storia delle immagini e al modo in cui queste partecipano ai processi storici e sociali. Come assicurare la più ampia trasmissione di ricerche innovative e conoscenze di prima mano?
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Germano Celant e Alessandra Mammì, ovvero l’arte contemporanea su L’Espresso – photo Dagospia
Il tema della divulgazione è concreto e investe, con le istituzioni educative, il giornalismo culturale e il suo rapporto con la società. Scuole e università formano scienziati e ricercatori. I media dovrebbero scegliere i più capaci e impegnarsi a rinnovare le collaborazioni. Accade invece che l’informazione storico-artistica mainstream italiana sia divisa tra vecchie glorie e oscuri addetti all’industria del mito culturale o della manipolazione pubblicitaria.
Tra i principali Paesi OCSE, l’Italia ha la più bassa percentuale di ricercatori sul totale della popolazione. Una minima parte di ciò che leggiamo nelle pagine culturali proviene da o ha familiarità con il mondo della ricerca. Ne consegue che la nostra capacità di controllo dell’inganno o della distorsione è minore. Il conformismo dell’informazione culturale e la crescente organicità al mondo del marketing privano l’opinione pubblica di contributi stimolanti, capaci di sfidare reputazioni esauste o punti di vista consolidato. Scienziati e studiosi indipendenti non partecipano in misura rilevante all’elaborazione del discorso pubblico.
Anche per questo l’Italia è un Paese che non apprezza o non riconosce l’importanza dell’innovazione.
Michele Dantini
docente di storia dell’arte contemporanea – università del piemonte orientale
http://www.huffingtonpost.it/michele-dantini/le-pietre-e-il-popolo-un-_b_3145231.html
http://www.nazioneindiana.com/2012/06/04/giornalismo-culturale-prime-indagini-sulla-scomparsa/
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #16
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