… la dimensione del nostro disagio era
la dimensione delle nostre energie.
John Steinbeck, Missione compiuta
(Bombs Away, 1942)
“Che regno tragico è questo, rifletté. Coloro che vivono qui sono prigionieri, e la vera tragedia è che non lo sanno; credono di essere liberi perché non sono mai stati liberi e non sanno cosa significhi. Questa è una prigione, e pochi uomini lo hanno intuito. Ma io so, si disse. Perché sono qui per questo. Per abbattere le mura, per svellere i cancelli di metallo, per spezzare ogni catena. […] Non sanno chi servono. È questo il nucleo della loro disgrazia: servire sbagliando, servire la cosa non giusta. Sono come avvelenati dal metallo, pensò. Il metallo che li tiene confinati e il metallo nel loro sangue; questo è un mondo di metallo” (Philip K. Dick, Divina invasione, in Trilogia di Valis, Fanucci 2011, pp. 359-360).
Tutti incatenati: schiavi delle proprie vite, convinti di rientrare alla fine – in fondo – nell’1% dei privilegiati. Incatenati ai loro piccoli privilegi, alla simulazione di esistenza agiata che è stata programmata per loro dalle generazioni precedenti. I loro padri vivono nell’incoscienza; essi vivono nell’incoscienza; nell’incoscienza vivranno (presumibilmente) i loro figli.
Ciò che ha cominciato a succedere più di trent’anni fa sta ancora accadendo: il processo storico sta ancora accadendo, si svolge, si aggancia – determinando la realtà, trasformandola. Cambiandone l’aspetto e la sostanza.
I diritti acquisiti in un secolo vengono liquidati e messi all’asta in un tempo velocissimo, ladresco, frettoloso. E questo accade nell’incoscienza generale, anzi col consenso e l’approvazione dei derubati: un intero dispositivo mediatico e informativo si incarica quotidianamente di ricostruire e perfezionare l’illusione. La gente pensa idee non proprie, “innestate”: la più grande forma di potere è quella di “innestare” l’idea nei cervelli, e farla crescere autonomamente. Come dice Dom Cobb nella scena iniziale di Inception (Christopher Nolan 2010): “Qual è il parassita più resistente? Un batterio? Un virus? Una tenia intestinale?… Un’idea. Resistente, altamente contagiosa. Una volta che un’idea si è impossessata del cervello è quasi impossibile sradicarla”.
L’analisi e la correlazione di eventi e interpretazioni recedono: sono indietro anni-luce, scomparsi nella nebbia. Sconosciuti, reputati meno di zero. Svalutati. Così, più o meno tutti fanno finta di confrontare i rispettivi punti di vista perché è conveniente e educato fare in questo modo, ma sanno benissimo che il punto di vista è uno e uno soltanto; non possono esistere punti di vista differenti e distinti perché ciò genererebbe istantaneamente una qualche forma anche rudimentale e primitiva di conflitto intellettuale e culturale e questo non è conveniente né educato. (Come si fa, infatti, dal momento che stiamo tutti lavorando alacremente alla rimozione, all’eradicazione di ogni forma di conflitto?)
Il codice è il medesimo per tutti, le idee non solo condivise ma proprio le stesse, e in questa maniera il compitino viene svolto efficacemente. Con piena soddisfazione. Perché il compitino vale e conta, il compitino ti fa rimanere in posizione (mai retrocedere, mai nemmeno deviare, per carità). E soprattutto, il compitino ti rende quello che sei, conforme a ciò che sai e alla tua identità fissa, immobile. Il compitino è una costante conferma: niente come il compitino ti difende da ciò che non sai e che potresti scoprire, da ciò che potrebbe mettere in discussione te, gli altri e tutto il castello di pericolose sciocchezze su cui si fonda la – presunta – percezione della realtà in movimento.
“’Il potere del male’ continuò Emmanuel ‘è la cessazione della realtà. E il lento dissolvimento di tutto ciò che è sino a trasformarsi […] in un fantasma” (Divina invasione, cit. pp. 373-374).
Christian Caliandro
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