Affaire Pecci. Parla Sergio Risaliti: il museo che vorrei

Il bando per il Pecci? "Meglio azzerrarlo e aspettare le elezioni". A poche ore (si spera) dalla scelta del nuovo direttore, abbiamo intervistato Sergio Risalti, pratese doc, storico e curatore con esperienze di direzione alle spalle e una serie di progetti importanti in cantiere. L’unico ad aver difeso la candidatura di Vittorio Sgarbi. E uno dei pochi a non esseresi candidato. Riflessioni fuori dai denti e un nuovo endorsement per il critico ferrarese

Se lo immagina come un Palazzo delle Esposizioni toscano, un grande centro per la cultura, eclettico, popolare e insieme dall’alto profilo scientifico. Un luogo capace – intelligentemente – di fare numeri, di uscire dalla nicchia del contemporaneo stretto e un poco snob, di tradire le solite griglie e i soliti cliché, di costruire un pubblico allargato. Sergio Risaliti racconta il suo museo, quello che gli piacerebbe vedere nella città in cui è nato e cresciuto. Un museo protagonista della vita cittadina, attivatore di sviluppo e di pensiero.
Un museo che, ad oggi, è alle prese con un cantiere per l’ampliamento degli spazi, ma soprattutto con un bando soffertissimo, da cui dovrà uscire il nome del nuovo direttore. Tanta l’attesa e grande lo scompiglio: la consulta composta da Fabio Gori, Patrizia Asproni e Pier Luigi Sacco, incaricata di operare una prima scrematura, pare abbia visto annullato il suo lavoro. Il cda sta valutando daccapo tutte tutte le  candidature. E all’origine di questo, si presume, c’è la reazione indignata di Vittorio Sgarbi, escluso dalla short list: la minaccia di un ricorso al Tar, per irregolarità, deve avere sparigliato le carte, agitando oltremodo le acque. E proprio di Sgarbi parla Risaliti. Difendendone profilo culturale e dignità intellettuale: escluderlo? Un errore, dettato da pregiudizio ideologico.
Brillante, eretico, appassionato, sempre fuori dal coro: Risaliti, a due mesi dall’opening della sua mostra su Pollock e Michelangelo a Palazzo Vecchio, mette sul tavolo una serie di riflessioni puntuali, che riguardano il Pecci, ma che potrebbero riferirsi a tutto il sistema italiano e alla realtà – sofferente, barcollante – dei grandi musei italiani. Un dibattito necessario, da coltivare oggi con spirito differente, con una consapevolezza nuova.

Il Centro Pecci di Prato

Il Centro Pecci di Prato

Qual è il “tuo ” Centro Pecci ideale? Cosa dovrebbe diventare, come andrebbe gestito, con quale visione complessiva?

Il Museo Pecci ha urgente bisogno di un direttore indipendente che sappia trasformare il Centro d’Arte in un Palazzo delle Esposizioni a vantaggio della sua collezione e dei vari dipartimenti, tra cui la biblioteca e l’archivio. La struttura del Centro d’Arte Contemporanea, duro e puro, non può giustificare investimenti eccezionali e una spesa pro-capite esagerata.  Non c’è una purezza del contemporaneo da difendere, una rappresentazione del mondo esclusiva da proteggere. La fase ‘eroica’, di rottura e di azzeramento tipica dell’arte contemporanea, ha esaurito la sua spinta innovatrice. L’arte contemporanea è una categoria di pensiero ormai superata. Il transito tra discipline, linguaggi, modelli deve essere accettato in tutti i sensi e in ogni direzione. Il tempo dell’evoluzione lineare è saltato. Non funziona neppure in archeo-paleontologia. Al Pecci vorrei vedere arte, cinema, moda, scienza, architettura, tecnologia, opere e immaginari di epoche diverse, lontane nel tempo e nello spazio.

Che ne pensi del progetto di ampliamento di Maurice Nio?

Il progetto di Nio, che si sviluppa intorno a quello di Gamberini, non suscita grandissime emozioni intellettuali. Il Pecci di Gamberini non è certo un diamante. Incastonandolo in un anello si annichilisce l’immagine originaria che è quella di un capannone industriale sospeso in aria. Non sappiamo se e come la collezione permanente possa trovare posto nella corona dell’anello o nei cubi, sotto o sopra. Il raddoppio dello spazio espositivo significa aumento delle spese, quindi obbligo di aumentare le risorse, assieme a  tagli alla spesa e drastica riorganizzazione del personale. Qualcosa non quadra.

Centro Pecci, il cantiere per la nuova ala

Centro Pecci, il cantiere per la nuova ala

Prato è la tua città, di cui conosci nel dettaglio virtù e fragilità odierne, connesse soprattutto alla crisi. Come ti appare oggi dal punto di vista culturale, economico, politico? Come è cambiata e come dovrebbe ancora cambiare?

La storia del Museo Pecci corre parallela a quella della città di Prato, che negli anni Ottanta viveva gli eccessi del primato nel tessile. Poi è iniziata una crisi industriale irreversibile. Il settore manifatturiero ha dovuto affrontare una radicale revisione e lavorare sulla ricerca di nuovi materiali e nuovi mercati. Per conoscere la storia recente di Prato si possono leggere i romanzi di Edoardo Nesi. Al contempo il distretto ha accolto centinaia di famiglie arrivate dalla Cina e non solo.  Questo mutato scenario condiziona la vita culturale della città e l’attività del Pecci. Difficile pensare a un Museo che possa fare a meno della sensibilità e intelligenza di personalità del rango di Nesi, di Sandro Veronesi, di Alberto Batisti, di competenze come quella di Irene Sanesi. Potrebbero portare vitalità e nuove esperienze in un consiglio di amministrazione che ha sbagliato molte scelte in questi ultimi anni.

Questa amministrazione, in controtendenza rispetto al resto d’Italia, sta investendo tanto sul nuovo museo.  Puntare su un museo d’arte contemporanea, impiegando grosse somme, è oggi un gesto significativo, a cui deve seguire un alto senso di responsabilità verso il territorio. E parlo, innanzitutto, di  un riscontro in termini di numeri, di pubblico, di incassi. Pare che Cenni voglia muoversi in tal senso. Molto spazio, ad esempio, sarà dato ai privati, nel tentativo di aumentare gli ingressi e di rendere più fruibili i servizi. Una gestione più manageriale e decisamente poco di nicchia. È la direzione giusta? Ed è possibile coniugare questo con la qualità dell’offerta culturale?

Ritengo sia possibile se non indispensabile intraprendere maggiore collaborazione tra pubblico e privato. Mantenendo, tuttavia, l’integrità delle funzioni e dei dipartimenti, avendo cura e rispetto di competenze maturate nel tempo, rinnovando – quando è necessario – gli incarichi. La questione però è un’altra: come è possibile gestire le risorse pubbliche disinteressandosi dei risultati effettivi, anche in termini di visitatori? Chiunque si rende conto che è necessario trovare un equilibrio tra costi, investimenti e ricavi: magari con un programma di mostre che sappia interessare un pubblico più vasto, senza negare il sacrosanto principio dell’aristocrazia e della eresia in arte. Il privato non può infine condizionare il progetto culturale senza intervenire generosamente alle necessità economiche.

Vittorio Sgarbi

Vittorio Sgarbi

La figura del direttore, per dare forma a tutto questo, non è l’unica che conta, ma senz’altro la principale. Anche in tal senso serve al Pecci un nuovo passo?

Le grandi realtà museali sono quelle create da figure di direttori che hanno saputo ‘personalizzare’ le istituzioni espositive, incidendo sul sistema, la società, il contesto culturale, con energia e indipendenza culturale. Rudi Fuchs al Castello di Rivoli, Gabriella Belli al Mart, Eduardo Cicelyn al Madre,  Adelina von Fürstenberg a Grenoble, Jan Hoet a Gent, Ulrich Loock a Berna, Dieter Schwarz a Winterthur ad esempio. Sicuramente Pontus Hultén, Harald Szeemann, Jean Louis Maubant e Jean Clair. In altre casi si può solo parlare di buona gestione, di discreta manutenzione.
Leggendo il Bando del Pecci, si intuiva la ricerca di un direttore diverso dal curatore d’arte contemporanea, una figura di manager-intellettuale ben più complessa. Non mi pare che tra i nomi circolati ve ne siano.

Capitolo “Bando” e candidature. Sei stato l’unico, dalle tribune del sistema del contemporaneo, che ha difeso la candidatura di Vittorio Sgarbi, mentre alcuni gridavano – anche con toni volgari – allo scandalo. Perché? 

La candidatura di Vittorio Sgarbi è stata una vera sorpresa. Avrebbe potuto sfruttare la corsia preparata per lui dal Sindaco Cenni, che voleva rilanciare il Pecci con un programma  eretico. Sgarbi ha accettato al contrario di partecipare alla gara, sottoponendosi alla selezione. Aveva ottime possibilità, soprattutto considerando il Bando dove si legge: “Il Centro Pecci ricerca per il ruolo di Direttore una figura di alto profilo culturale, dotata di esperienza, indipendenza e creatività”. Sarebbe stato bello vedere una gara tra fuoriclasse. Ma questo non è accaduto. Pur essendo un fuoriclasse, Vittorio Sgarbi è stato bocciato. Con quali motivazioni tecniche, burocratiche, mi chiedo. I veti espressi tra le stanze del Pecci nei suoi confronti, se fossero provati, sarebbero imbarazzanti, inaccettabili.
Nella democrazia culturale i confini ideologici sono aperti, fluttuanti, plastici. Le avanguardie oggi sono rivolte piuttosto alla rielaborazione del passato che alla invenzione del futuro, basata in molti casi sull’azzeramento della storia dell’arte e della tradizione figurativa. Oggi si parla fin troppo di anacronismo e obsolescenza. Tutto fortunatamente si trasforma, nulla si distrugge. Mi pare che Sgarbi, con il suo lavoro e la sua scrittura, si sia mosso in questo senso e che lo abbia fatto nel migliore dei modi.

Insomma, il solito atteggiamento elitario del sistema?

Quello che non può essere tollerato in un Bando è l’ostracismo ideologico. La nostra epoca non consente sbarramenti ideologici. Abbiamo imparato che la storia dell’arte è cosa diversa dalla storia del mercato e da quella delle ideologie. Fino a pochi anni fa Lucian Freud sarebbe stato tenuto lontano dal Pecci su precisa indicazione di certi artisti che non tolleravano il figurativo. Una mostra di Miyazaki porterebbe famiglie e turisti anche dalla ‘lontana’ Firenze, ma sarebbe invisa a chi si considera un purista. Lo stesso accadrebbe con una mostra di Severini o di Magnelli, di Ron Mueck o di Sebastião Salgado.  Oggi, quando si parla di cultura contemporanea, ha un senso fare nomi come quelli di Donatello (considerato da Richard Serra artista di riferimento) o di Paolo Uccello (sicuramente decisivo per la nascita della Metafisica). Sarebbe utile una mostra sulla storia del marmo di Prato dal Medioevo a Robert Morris. Un Palazzo delle Esposizioni potrebbe occuparsi di Steve McQueen e di Luchino Visconti, di Camille Paglia e di Curzio Malaparte. Ho l’impressione che tra i componenti del collegio giudicante del Pecci venga osteggiata un’apertura di orizzonte come questa. Staremo a vedere.

Gino Severini, Maternità, 1916

Gino Severini, Maternità, 1916

A tal proposito, che pensi del pasticcio legato alle scelte del primo turno? La consulta aveva designato una short list, ma poco prima di comunicare i nomi il Sindaco ha annullato tutto. Le irregolarità del bando, evidenziate da Sgarbi, c’erano davvero? Ma ha senso portare avanti un iter di concorso, quando la prima fase di scrematura viene invalidata? 

Tutto si è complicato. C’è qualcosa che non torna. Il bando è un assemblaggio di argomenti a volte diversi e contrapposti. Si capisce che è stato organizzato dovendo soddisfare le aspettative di diversi soggetti politici con visioni anche opposte, oltre alle aspettative dei privati.  Se il consiglio direttivo tenesse conto della scrematura operata dalla commissione andrebbe contro la formulazione del bando, laddove ai tre commissari non è chiesta una selezione di tipo critico-curatoriale. Se il consiglio direttivo non terrà conto della scrematura, dovrà comunque attenersi al bando, e magari individuare il direttore tra tutti i candidati, compreso Sgarbi, rispettando però le regole del gioco, soprattutto i criteri stabiliti per l’ingaggio laddove ha molto peso la competenza amministrativa, manageriale, comunicativa. Tra i nomi rimasti in gara nessuno pare soddisfare le pretese del bando. Siamo a un punto di svolta e forse la cosa migliore sarebbe ripartire daccapo e attendere le nuove elezioni.

Per quale ragione non hai partecipato?

Il mio principale impegno di storico dell’arte e di ideatore di progetti espostivi è oggi rivolto a Firenze, che vive una fase di straordinaria accelerazione culturale e amministrativa. È sgradevole dirlo, ma avevo previsto quanto è accaduto al Pecci. La candidatura di Sgarbi ha portato un salutare scompiglio. Difficile evitare il confronto tra il suo curriculum e gli altri, mascherandosi dietro pregiudizi e valutazioni alquanto bizzarre.  Mi chiedo come si posizioni adesso l’Assessore alla Cultura della Regione – di cui ho stima e di cui conosco l’imparzialità – di fronte alla situazione che si è venuta a creare, visto che il Pecci è stato riconosciuto come Museo Regionale. Mi pare assai strano che nessuno chieda una verifica delle procedure e dei passaggi formali.

Previsioni? I nomi principali si conoscono. E nessuno, da quel che dici, sarebbe la figura ideale per quel che ci si aspetta da questo nuovo Museo. Come finirà?

Non ne faccio. Mi chiedo perché non sia stata scelta la strada dell’invito secco, o quella del concorso ad inviti, chiedendo ai principali ‘elettori’ uno o più nomi di prestigio. In ogni caso spero che la situazione si risolva a favore della collettività.  La scelta non è solo sul direttore. Si tratta di trasformare il Pecci in un Palazzo delle Esposizioni con annessa una colleziona d’arte contemporanea, una biblioteca, un auditorium e ottimi dipartimenti di educazione e formazione. La rinascita passa attraverso queste scelte e questi cambiamenti. Non attraverso i veti e i pregiudizi.

Helga Marsala

 

 

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

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