Icom, storie romane e storie d’Italia
Parliamo con Alberto Garlandini, presidente di Icom Italia, dell'incontro che ha visto l'organizzazione internazionale al tavolo di lavoro con l'assessore alla cultura del Comune di Roma, Flavia Barca. Partiamo dalla Capitale, per andare in tutta Italia e capire in che stato versano i musei del Paese.
Un incontro con Flavia Barca e Michela di Biase a seguito della vostra lettera aperta. C’è stata aria di chiarimenti o un approccio progettuale alle problematiche che avevate sollevato insieme ai 135 funzionari della Sovrintendenza Capitolina?
Siamo entrati nel merito delle questioni e delle problematiche già anticipate dalla lettera. Abbiamo voluto ribadire l’importanza della Sovrintendenza Capitolina… è un esempio unico e positivo poiché si tratta di un organo civico, una risorsa importantissima. Soprattutto dal nostro punto di vista. Abbiamo già denunciato in passato la situazione gravissima nella quale versa il settore pubblico in tema di gestione culturale. Come sapete, gli enti locali non hanno più questa competenza, non ce l’hanno più le provincie (che, in alcuni casi, in passato avevano svolto un ruolo positivo, almeno per ciò che concerne il nostro settore), non ce l’hanno le città metropolitane. Anche un po’ polemicamente mi viene da dire: chi si deve occupare di cultura? Le Regioni? Lo Stato? Il mercato? Queste ultime mi sembrano risposte poco efficaci e la situazione è molto preoccupante… Ecco perché la Sovrintendenza Capitolina ci sembra un esempio positivo, perché Roma Capitale ha le competenze in tal senso.
Dunque, tornando alla faccenda romana, la vostra non è una posizione politica…
Icom è l’organizzazione internazionale dei musei e il nostro scopo è quello di farli funzionare. Noi non siamo un sindacato né ci occupiamo di organigrammi. Interveniamo solamente quando ci sono delle problematiche e quando, come in questo caso, ci sono amministrazioni disposte a confrontarsi con noi siamo disponibili, naturalmente, a farlo. In questo caso era evidente – emergeva dalla lettera – un malessere e per questo noi ne abbiamo discusso, entrando nel merito. Ovviamente sarà l’amministrazione, poi, a decidere cosa fare…
Come è stata recepita la vostra proposta?
C’è stata grande apertura. Il Comune ci ha comunicato di voler dare attenzione alla Sovrintendenza e a confrontarsi con i suoi problemi organizzativi. Si è parlato anche del Macro, naturalmente… Vogliono nominare al più presto un direttore e anche adoperarsi per dare continuità al personale temporaneo. Dal nostro canto, abbiamo dato disponibilità a discutere pubblicamente, a essere coinvolti. Ci sembra un buon inizio. Lo spirito di Icom non è quello di fare denunce, ma di trovare delle soluzioni ai problemi, di fare dei passi avanti. Poi, naturalmente, non esistono le bacchette magiche.
A proposito del tema occupazionale, vedete delle prospettive a livello nazionale?
Se pensiamo al ruolo dei musei, le prospettive ci sono sempre. Secondo i dati Istat 2011 (uno dei momenti di maggiore crisi del Paese) 50mila persone lavorano per i musei, un terzo dei quali su base volontaria. Si tratta di un comparto molto significativo, che dimostra anche una nuova realtà: i musei non sono solo “collezione”, ma anche attività educative, promozione, didattica… è, insomma, un settore in espansione. Il problema reale è, però, che le amministrazioni pubbliche hanno oggi difficoltà per molti motivi, dovuti anche alla crisi e al patto di stabilità, a reintegrare le posizioni stabili. La maggior parte dei nostri iscritti, ad esempio, non sono più pubblici dipendenti. Il mondo del lavoro è cambiato, per carità, ma noi siamo preoccupati, perché temiamo che possa venire meno l’opportuna trasmissione della conoscenza.
Che intende esattamente?
Anche per ciò che concerne il lavoro nei musei, le competenze si devono trasmettere di generazione in generazione. Se si interrompe questo passaggio, si crea un gap. Un museo non è una mostra, è una struttura, è prima di tutto un bene che fa parte del patrimonio artistico. C’è una continua diminuzione di personale scientifico e i musei non riescono a svolgere il proprio ruolo. Voglio in questa occasione, inoltre, smentire un luogo comune, quello che vuole i musei “strutture assistite”. Sempre secondo i dati Istat 2011, su 5mila musei, solo il 26% ha avuto un contributo pubblico. Molto spesso queste strutture vivono grazie al volontariato.
Che però non può essere una risposta.
Dico sempre che il volontariato può essere valorizzato solo in una realtà dove ci sono dei professionisti. Ci sono, in Italia, musei gestiti praticamente ed esclusivamente da “volontari professionalizzati”. È una criticità enorme.
Tornando a Roma: qual è, dal vostro osservatorio, lo Stato dell’arte in tema di gestione museale?
Sono problemi del Paese, non solo della città di Roma. Noi italiani siamo famosi per salvarci all’ultimo momento, siamo i maestri in questo. Ma se non si sviluppa una attenta politica di prevenzione e di tutela del patrimonio, i problemi resteranno. Sarebbe meglio non spendere cento a posteriori per tamponare un’emergenza, ma lavorare su una politica di prevenzione. E l’Italia soffre della capacità di programmare, di fare strategie a lungo termine.
Santa Nastro
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati