L’uomo col cartello. Intervista a Carmine Caputo di Roccanova
Carmine Caputo di Roccanova, pittore, performer, scultore e architetto, che da anni diverte e fa parlare di sé tutto il mondo dell’arte e non, grazie alle sue performance al confine tra l’arte e la vita. Doppio incontro con la persona e l’artista.
Dal 2005 sei presente in tutti i più importanti eventi europei dedicati all’arte con le tue performance: tu con indosso un cartello, medium di un messaggio sempre diverso. Il progetto continua a destare grande interesse. Com’è nata l’idea?
Tutto è partito dalla necessità di comunicare. La prima performance l’ho fatta a Bologna nel 2005, riprendendo e riadattando il famoso slogan dell’Aids in “Carmine Caputo di Roccanova: se lo conosci non ti uccide”. Poi è stata la volta di Torino, patria dell’Arte Povera, con il cartello “Basta con l’arte povera di idee, viva le note in calce alla pittura”. Quando nel 2005 era sparito il Padiglione Italia alla Biennale di Venezia, ho fatto una performance di protesta, Wanted, all’interno della mini-mostra organizzata da Philippe Daverio nella Chiesa di San Gallo.
Ogni progetto che ho fatto ha sempre avuto un senso all’interno di ciò che avveniva nell’ambiente. Ho sempre scelto i luoghi in cui la mia presenza fosse in grado di rafforzare quello che c’era. Nell’era di Internet sono riuscito a comunicare con un semplice cartello, utilizzando soltanto il mio corpo.
C’è qualche episodio o aneddoto particolare che ti è capitato durante una di queste performance?
Ogni performance è stata una prima volta. Ho sempre scelto luogo e tempi precisi, affinché tutto avesse un senso. Ricordo in modo particolare la Frieze Art Fair di Londra del 2008, in cui mi sono esibito con “Help me to find a wife”, immerso in un incredibile rigore inglese. Dopo aver chiesto a un gallerista il permesso di sedermi su di una sedia esposta, mi sono subito ritrovato circondato da una folla di gente divertita e da centinaia di macchine fotografiche impazzite. La performance è stata interamente improvvisata e questa sorpresa è stata la vera bellezza e potenza dell’opera. Prima che il servizio d’ordine mettesse fine alla mia performance, sono stato anche intervistato da un famoso giornalista inglese, che in seguito mi ha “inserito” tra le migliori stravaganze della fiera.
Come reagisce la gente davanti a queste “sorprese artistiche”?
La gente ha sempre reagito bene e si è sempre divertita. Durante la performance del 2012 alla Galleria Vittorio Emanuele di Milano, le persone si sono addirittura fermate a darmi consigli, interagendo inconsapevolmente con il mio messaggio. In pochi hanno reagito male: quelli privi di ironia e senso dell’arte.
Il 2005 è stato anche l’anno di nascita del tuo Manifesto del Manierismo Geometrico. Cos’è e perché l’hai scritto? Ha un legame con le tue performance?
Il Manierismo Geometrico e il suo Manifesto sono venuti prima delle performance, ma l’ho pubblicato nel 2005. Dopo anni di ininterrotta attività ho sentito la necessità di fermarmi e interrogarmi. Ho avuto così la piena consapevolezza che tutto quello che facevo era già stato fatto prima. Pertanto, l’unica soluzione per ripartire e andare avanti, dando dignità ai miei lavori, era conoscere il passato attraverso una continua ricerca. Sono giunto alla conclusione che bisognava assumersi le proprie responsabilità, definendo una maniera della geometria, mettendo le note in calce alla pittura, così come le note a piè di pagina in letteratura. Gli artisti, infatti, dovrebbero sempre citare coloro ai quali si sono ispirati: non si inventa nulla, si possono solo aggiungere piccole ricerche personali al quadro generale dell’arte. Ecco perché tutti i miei quadri, rigorosamente di forma quadrata, a tinte piatte, contengono una foglia d’oro, simbolo della continuità con il passato, prezioso per poter fare arte.
Per quanto riguarda il legame tra Manierismo Geometrico e performance, posso solo dire che in futuro ci saranno delle novità. All’inizio, quando ho iniziato a esibirmi nelle fiere, ero un po’ titubante, perché temevo un contrasto troppo forte con il Manierismo Geometrico. Oggi, invece, mi sono reso conto che le performance mi hanno aiutato nella diffusione e nella spiegazione della mia filosofia artistica.
Da chi e/o da cosa trai ispirazione per i tuoi progetti?
Prendo ispirazione dal passato, dalla mia incessante ricerca. In particolare, i miei maestri sono: Alberto Biasi, Max Bill, Piero Dorazio, Bruno Munari, Luigi Veronesi, Mario Ballocco, El Lissitzky, Kasimir Malevic, Ivo Pannaggi, Theo Van Doesburg, Victor Vasarely e tanti altri.
Un’altra data importante è il 1979, quando hai creato i tuoi quadri “polifunzionali”. Cosa sono? Quanto c’è del tuo essere architetto?
La mia passione per l’architettura ha certamente influenzato le mie opere “polifunzionali”. Ogni quadro è stato concepito come un’architettura che, al pari di essa, poteva essere arricchito dal tocco personale del suo possessore. Ho preso delle composizioni modulari e le ho intagliate fronte/retro, creando degli spazi vuoti. In questo modo l’acquirente aveva la possibilità di scegliere e cambiare il motivo del quadro due volte, che nel frattempo (grazie agli spazi) assumeva il colore della parete a cui veniva appeso. Alla fine si determinava un’interazione tra proprietario e quadro, la cui struttura non veniva minimamente intaccata.
Tornando alle tue ultime performance “Cerco moglie…”: quanto c’è di vero? Quando ti fermerai?
Moglie o arte? Resta il dubbio: non si sa dove finisce l’arte e inizia la vita vera. Diciamo che smetterò di cercare moglie quando il mondo intero l’avrà saputo.
Ultima domanda: a cosa serve l’arte?
L’arte serve allo spirito. Tutti la criticano, ma in fondo tutti la cercano. L’arte è una questione d’amore, è una malattia benefica.
Amalia Martino
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