Mlac, micro-territorio relazionale. Intervista con Simonetta Lux
Con la pubblicazione di “Mlac Index 2000-2012”, presentato prima della pausa natalizia in un seminario/giornata di studi alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, si scrive - secondo Simonetta Lux, che ha progettato e fondato il museo-laboratorio - “un altro capitolo di una storia che non finisce mai ed è tortuosa e non lineare”. Il libro che ne raccoglie la storia è la fine di un’era o l’inizio di una nuova storia? Ne abbiamo discusso con la stessa Lux.
Roma, 1985. Nelle sale sottostanti l’aula magna dell’Università Sapienza, all’interno del Palazzo del Rettorato, nasce il MLAC. Perché un “museo laboratorio”? E perché alla Sapienza?
In un’intervista resa all’artista Ida Gerosa per Mcmicrocomputer quindici anni fa ricordavo che il mio intento nel creare il Museo Laboratorio di Arte Contemporanea alla Sapienza di Roma era far esistere l’arte nel mondo accademico che non conosce l’arte, ma anzi cerca sempre di rifiutarla. Sono partita dallo studio dell’identità del luogo stesso, la Città Universitaria, creata sotto il fascismo e già con la tensione tra politica (Mussolini) e arte (Mario Sironi): un site specific storico e concettuale. Ho esplorato, per questo museo-laboratorio, la nuova o permanente tensione dell’arte con il mondo accademico. Mondo accademico, universitario, che è luogo della formazione di giovani, dove ho fatto primi attori dell’esplorazione di questa tensione (o contraddizione) gli studenti e gli artisti in persona, producendo insieme a loro la ricerca nel luogo (fisico e concettuale insieme) della costruzione dell’unica storia che si fa in presenza dell’evento, cioè la storia dell’arte contemporanea. Auspice di questa genesi laboratoriale della storia e della critica il Rettore di allora (era il 1985) Antonio Ruberti, raro e finora irrepetibile esempio di rispetto per l’arte, la cultura e per quel patrimonio immateriale rappresentato dai giovani e dalla promozione della ricerca in ogni campo, per la realizzazione di quella eguaglianza delle opportunità, oggi troppo e sempre più negata.
Un museo laboratorio è un laboratorio per chi? A quale modello si ispira?
Abbinare la parola ‘museo’ a ‘laboratorio’ significava portare vita nell’idea già allora in crisi di museo (museo di oggetti e non di azioni creative); laboratorio in quanto destinato ad aperte azioni di conoscenza e di interrelazione tra campi, rompendo i confini di chiusura dei saperi. E ad aperte azioni-interrelazioni fra attori della scena e del sistema dell’arte: studenti e artisti, ma anche critici, poeti, scrittori, musicisti, studiosi, galleristi, direttori di musei, da tutto il mondo. Debbo dire che, questo che nel libro ho chiamato “micro-territorio relazionale ante-litteram” (lo pratichiamo una quindicina di anni prima che Bourriaud lo teorizzi in Estetica relazionale), è un vera e propria creazione di un modello, che allora non esisteva in nessuna parte del mondo. Semmai possiamo dire che questo modello all’epoca del tutto nuovo cresceva nel nostro processo stesso del ricercare, insieme agli artisti stessi.
Questo valeva e continua a valere per me come per tutti i miei studenti di allora e oggi professori, artisti, direttori di museo, curatori indipendenti. Infatti il Museo Laboratorio di Arte Contemporanea si sviluppò istituendosi come Centro di Ricerca autonomo dentro la Sapienza e come luogo di formazione, con l’invenzione di specifici dottorati e master per curatori: precisando che si è sviluppata l’idea del curatore come storico dell’arte, e non – come vorrebbero taluni critici di bella presenza – con semplice ruolo “organizzativo”. Sarebbe argomento troppo lungo parlarne qui, ma l’aspetto più eclatante è che, mentre il potere centralistico e antidemocratico della Sapienza si è affrettato a cancellare l’identità di Centro di Ricerca, molte istituzioni museali e fondazioni per l’arte contemporanea stanno ora assumendo proprio quel carattere di laboratorio critico e di centro di formazione/ricerca che sarà vincente.
Nel corso di quasi trent’anni di storia al MLAC si sono succeduti artisti di generazioni diverse, con importanti presenze internazionali. Quali sono le linee di ricerca del museo che hanno legato esperienze e poetiche diverse?
Dopo la crisi – palese dagli inizi degli Anni Ottanta – dell’idea di “Movimento” e “Correnti”, insomma con la perdita del carattere antagonistico dell’arte e con la conquista definitiva della funzione critica dell’arte, con la fine dell’oggetto e con una rinnovata centralità del soggetto (con tutti i suoi svuotati o frammentati gusci) e con il delinearsi di due contrapposte modalità di azione dell’artista, una critica e politica (anche se non ideologica) e un’altra che amo chiamare “cosmetica”, al Museo Laboratorio abbiamo lavorato alle culture emergenti Post-East e agli studi transizionali, concentrandoci su quanto andava emergendo tra occidenti estremi (Cuba, Caribe), nazioni post-coloniali e crisi portate dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica e della Jugoslavia. Si è guardato ai soggetti/uomo artista e alle scelte dell’arte dentro contesti dissolutivi e nomadizzanti. Al MLAC si sono succeduti molti grandi autori in difficoltà di riconoscimento che hanno annunciato, dal privilegiato osservatorio del punto di vista dell’arte, l’attuale condizione globale disastrata e dissolvente.
Viaggi sia fisici che virtuali, che hanno caratterizzato sin dall’inizio l’attività del Museo Laboratorio e di tutti i suoi straordinari collaboratori e co-creatori: pensare la nostra azione in una rete reale-virtuale dell’arte, e questa è la ragione del nome Rete reale/virtuale dell’arte contemporanea che abbiamo dato al sito e poi magazine online Luxflux.net. Molto spazio è stato infatti dato alle arti elettroniche ed informatiche, pur sapendo che l’arte è una sola e che la questione è sempre e soltanto il mode d’emploie dei mezzi prescelti e delle tracce ritrovate dal gettato dell’esperienza, come voleva Guy Debord.
Potendone citare solo qualcuna, quali sono le mostre ospitate dal MLAC che non si possono non ricordare?
Come si può vedere consultando anche quell’altra parte dell’archivio del MLAC che si trova online, all’interno della rivista Luxflux.net, ognuna delle esposizioni o evento ha avuto una sua peculiarità e valore, precisione di comunicazione, e ognuna ha comportato legami con diverse istituzioni e persone, sia che si tratti di mostre o incontri o convegni di carattere storico, sia di stretta attualità, sia di artisti affermati sia di artisti giovani, sia di italiani sia internazionali. Premesso che per me, dunque, tutte in assoluto sono di uguale importanza specifica, in quanto ognuna ha toccato un nodo problematico della nostra condizione storica, vorrei ricordare le prime di cui non si parla nel libro: cioè i due incontri di Comunicazioni di lavoro di artisti contemporanei (1979 e 1981); quella – la prima del MLAC nel 1985 – sui rapporti tra artisti e potere politico (1935. Gli artisti nell’università e la questione della pittura murale, nella quale scoprimmo i documenti della committenza a Sironi e anche della censura di Mussolini); la serie Specie di esempi (1989-1990) curata da Ignazio Venafro (autore anche del design del logo); poi la serie di incontri/mostre/letture di e con i poeti, gli artisti, i compositori a Bomarzo Scene d’arte e poesia (1995, 1996, 1997) insieme a Miriam Mirolla; le scelte dell’ultima generazione di allievi curatori, guidati da Domenico Scudero come Wonder Art, o il fotofilm realizzato da Domenico Scudero che lo presentò insieme a Lucrezia Cippitelli alla Biennale dell’Avana nel 2006; infine i rapporti con i giapponesi Ikeda Uemon e Naoya Takahara, con i grandi artisti della ex-Iugoslavia Iljia Soskic e Jusuf Hadzifezjovic e ultimamente l’esplorazione del ruolo dell’arte per la disalienazione dell’altro e del diverso, con i lavori realizzati rispettivamente da Anton Roca nel 2011 al Quirinale noi…l’Italia e nel 2013 alla Biennale di Venezia da César Meneghetti (I/O_IO E’UN ALTRO) insieme a persone disabili, per la dichiarazione dell’intelligenza ed il superamento del pregiudizio e dell’esclusione (nell’ambito di una collaborazione con la Comunità di Sant’Egidio).
Nel vasto campo da noi esplorato dell’uso peculiare da parte degli artisti dei media fotografico, video, informatico, digitale o cinematografico espanso, come citare qualcuno piuttosto che qualcun altro? Ida Gerosa piuttosto che Danilo Torre? Jacopo Benci piuttosto che Silvia Stucky? Maria Grazia Pontorno piuttosto che Serafino Amato? Judith Cowan piuttosto che Natasha Nisic? Cloti Ricciardi piuttosto che Laura Palmieri? Tanti altri, tutti e tutti gli altri sono citati e documentati e ricercabili in questo libro, primo racconto di una storia complessa di un grande lavoro di ormai quasi trent’anni. Oltre il quale è già in corso un ulteriore svolgimento della memoria e delle esperienze, con la creazione di un archivio vivo, cui stanno dando il loro apporto tutti gli artisti di cui abbiamo parlato in Mlac Index e con i quali abbiamo lavorato in questi anni.
Una delle peculiarità del MLAC è di essere uno spazio istituzionale ma al tempo stesso di essere riuscito a conservare una certa agilità nella programmazione espositiva. Nei periodi più intensi di attività si è arrivati a realizzare anche due mostre al mese, con un turnover continuo di artisti e curatori. Com’è stato possibile tutto questo, anche economicamente parlando?
Tutti i fondi, da me e insieme ai miei collaboratori, ottenuti con progetti di ricerca nazionali e regionali, sono stati destinati a questa formazione, esplorazione, scrittura e realizzazioni. Anche università straniere e fondazioni hanno investito in realizzazioni artistiche curate nell’ambito del format “Museo Laboratorio di Arte Contemporanea”, collegato alla mia cattedra di Storia dell’Arte Contemporanea e ad altre discipline attivate nei corsi di dottorato e di master connessi al Museo Laboratorio. Certo, l’eccellente lavoro di Domenico Scudero, ad esempio, e poi dei dottori di ricerca formatisi e cresciuti in questo ambito e di critici e studiosi internazionali, così come l’adesione così intensa degli artisti, hanno consentito un’attività piena, qualitativa, e che in ambienti privatistici avrebbe richiesto ben superiori capitali.
Data la sua natura “ibrida”, il MLAC ha avuto interlocutori molto diversi, dagli studenti di storia dell’arte agli addetti ai lavori. Come ha funzionato in questi anni il dialogo con gli ambienti accademici? Quali sono stati invece i rapporti con le altre istituzioni, pubbliche e private, del contemporaneo a Roma?
Difficile sempre il rapporto con l’istituzione accademica romana, dopo la scomparsa di Ruberti. I miei sicuri “no” a rivendicazioni continue populiste o dilettantistiche mi hanno reso la vita certo non facile. Grande apprezzamento invece da parte di tantissime istituzioni esterne, accademie, fondazioni e dagli stessi musei, che ha portato a importanti collaborazioni. Ricordiamo la collaborazione con la Japan Foundation, negli anni della direzione di Masaaki Iseki; con il Centro Lam, luogo progettuale della Biennale dell’Avana creato dopo la rivoluzione da Wifredo Lam; con la Facultad de Artes y Letras dell’Avana; con la Biennale di Cetinje in Montenegro; con la Biennale di Dakar, in Senegal; con la Fondazione-Museo Pino Pascali; con il Macro di Roma; con la Middlesex University; con il British Council; con la Fondazione Volume! di Roma; con l’Istituto Italo-Latino Americano e Irma Arestizabal; con i Laboratori d’Arte della Comunità di Sant’Egidio; con Studio Azzurro e il compianto Paolo Rosa. Soprattutto il feedback internazionale è stato positivo, aperto, di pieno apprezzamento, proficuo. La mia scuola di storia dell’arte è sparsa in tutta Europa, oltre che nelle università italiane: sono orgogliosa dei loro successi e riconoscente di una crescita che è stata reciproca e simultanea.
La pubblicazione di Mlac Index, che racconta e documenta l’attività del MLAC con un repertorio completo degli anni 2000-2012, si lega inevitabilmente alla fine di un ciclo: nel 2011 lei ha infatti lasciato la direzione del museo, che è entrato in una diversa fase della sua storia. Cosa dobbiamo aspettarci adesso?
Da me questo: in quella che io chiamo la mia settima vita, che si è inaugurata sviluppando e scoprendo ciò che già sapevo alle mie origini di studiosa – e cioè il ruolo dell’arte e dell’artista per l’affermazione della così insidiata integrità della persona umana – voglio gridare la necessità della formazione, dell’educazione e della ricerca, che devono essere garantite a tutti i livelli, in modo che si riaffermi quella uguaglianza delle opportunità che il mondo finanziario globalizzato nega per una precisa strategia autoritaria, che Hannah Arendt aveva previsto svilupparsi ovunque nel terzo millennio. Una promessa di uguaglianza di opportunità che i padri costituenti della nostra repubblica avevano conquistato per noi attraverso la Resistenza.
Grido allo scandalo del disinteresse per la ricerca e l’educazione diffusa a tutti i livelli di una classe politica – quella italiana attuale – cui altri hanno attribuito la nostra rappresentanza.
Non mi aspettavo, quando ho iniziato da giovane a realizzare i miei ideali coinvolgendovi intere altre generazioni, di dover assistere a ciò che vedo oggi, un mondo globalizzato che ha bisogno ancora una volta e sempre più di schiavi: il mio, nostro e vostro compito, forse, di politici che vi dichiarate “giovani” è negarglieli. Occorre fornire al mondo globalizzato dei sapienti. Vasi comunicanti delle arti, modello di rottura dei confini tra i campi del sapere. Il Museo Laboratorio sarà questo modello che fortunatamente può prodursi in ogni luogo e tempo voluto della relazione di scambio delle conoscenze, della creazione, del sapere. È la relazione tra soggetti e lo scambio di saperi e di memorie che istituisce l’arte, non il denaro né il mercato.
Alessandra Troncone
http://www.luxflux.net/museolab/museo.htm
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