Il mondo a colori di Franco Fontana. L’intervista
Il maestro modenese, all’inaugurazione della mostra veneziana “Franco Fontana. Full Color”, ci racconta i suoi inizi, nei lontani Anni Settanta. E il suo pensiero sulla fotografia (di ieri e di domani), non mancando un consiglio a chi vuole intraprendere questo mestiere.
Puglia, primi Anni Settanta. Franco Fontana (Modena, 1933) è in compagnia di tre amici in una località balneare del Foggiano, in Puglia. È mattina e, appena arrivati all’hotel, i quattro decidono di prendere l’ascensore per salire in cima all’hotel, da cui – si dice – si può godere una bellissima panoramica sul mare. Tutti lassù prendono la macchina fotografica. Tutti scattano: chi i bagnanti, chi l’orizzonte, chi un momento di spensieratezza, chi il bambino con i braccioli gialli. Tutti così, probabilmente, fecero; tutti, tranne Franco Fontana: la sua attenzione fu catturata da un dettaglio così palese, così ovvio, cui nessuno prestò troppa importanza: su un piccolo pezzo di spiaggia, totalmente deserta, si adagiava l’ombra della scogliera e della vegetazione; poi, l’azzurro infinito del mare e del cielo. Un’immagine semplice, pulita, naturale.
Franco Fontana decise di imprimere quel singolare momento sul suo rullino da 36 caricato su una Pentax. Era il 1970. E quella foto passò alla storia come Baia delle Zagare, icona ed emblema della straordinaria carriera fotografica di Franco Fontana. Questo scatto, insieme con altre 130 fotografie, è esposto a Palazzo Franchetti di Venezia (sede dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti)in occasione della prima grande retrospettiva del maestro modenese: Franco Fontana. Full Color.
Baia delle Zagare, è cominciato tutto da lì…
Dall’hotel – che si inaugurava quell’anno, nel lontano 1970 – da cui ho scattato la fotografia, continuano tutt’oggi a invitarmi, anche se sono passati più di quarant’anni. Quello scatto ha fatto il giro del mondo e non solo: il Ministero della Cultura francese la utilizzò per una campagna pubblicitaria. Quello che si vede è ciò che io avevo davanti all’obiettivo, senza alcuna modifica cromatica perché, allora, non esisteva il computer. Eppure alcuni parlano di astrazione, invece io ho solo registrato la realtà.
Nonostante la sua carriera inizi negli Anni Settanta, lei è fortemente favorevole all’uso della post-produzione fotografica. Come mai?
Il computer ti dà la licenza pittorica di aggiungere, e poi bisogna smettere di percepire la tecnologia, l’innovazione nell’arte, come una bestemmia. Quando una banca mi ha chiesto di realizzare un reportage sul mondo che verrà, ho dovuto utilizzare il computer: scattavo qualcosa e in seguito ci aggiungevo quello che era impossibile fotografare. Ecco l’immaginazione. E per fortuna che oggi abbiamo il computer. Basti anche pensare a fotografi come il tedesco Andreas Gursky, le cui fotografie totalmente fatte al computer sono vendute per milioni di euro, o allo statunitense David LaChapelle: il futuro sarà così.
Quindi il futuro sarà anche fotografare con lo smartphone?
Pensate alla Kodak: numero uno al mondo, 70% del mercato, è fallito. Non ha capito di dover andare incontro al digitale e, quando si è svegliata, era troppo tardi. Prendiamo il cellulare e scattiamo: abbiamo una fotografia. Non è importante lo strumento, ma cosa vogliamo riprendere. E ciò che ci appare dipende dal nostro cervello, perché non tutti percepiamo la realtà allo stesso modo. Se mi si chiedesse come ho fatto queste foto [indicando i paesaggi, N.d.R.], risponderei: con la testa. Lo scrittore scrive con la testa, la penna è solo un mezzo. La macchina fotografica è solo il mezzo che permette di significare il mio pensiero, niente di più.
Che cosa significa il colore nelle fotografie di Franco Fontana?
Il colore è una sensazione fisiologica, è un’interpretazione psicologica emozionale della realtà; Paul Klee diceva che “il colore è il luogo dove l’universo e la mente s’incontrano”.
Qual è il suo consiglio per chi si approccia al mondo della fotografia?
Dico sempre, durante i miei workshop, di essere se stessi e di non imitare nessuno. Però sia chiara una cosa: la fotografia, come la scrittura, è una cosa che si ha dentro, da sempre. Non s’impara e non si acquisisce col tempo: ecco perché i miei sono più corsi di vita che di pratica fotografica.
Se le dovessero chiedere di bruciare tutte le sue fotografie e di salvarne solo due, quale sceglierebbe?
Baia delle Zagare e Comacchio. Senza dubbio.
Paolo Marella
Venezia // fino al 18 maggio 2014
Franco Fontana – Full color
a cura di Denis Curti
ISTITUTO VENETO DI SCIENZE LETTERE ED ARTI
041 2412332 / 041 2410775
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www.istitutoveneto.it
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