Parla Linda Yablonsky. Dalle colonne di Artforum e New York Times
Nella propria vita ha scritto un solo romanzo, è fra le voci più autorevoli della critica d’arte della sua città e ha il potere di far esaltare, ma soprattutto di far distruggere un evento. Non stiamo parlando del Jep Gambardella de “La grande Bellezza”, ma dell’altrettanto mitica Linda Yablonsky.
Signora Yablonsky, nell’Oscar La grande bellezza il protagonista è un critico d’arte che ha scritto un solo romanzo e convive con la responsabilità di poter celebrare quanto rovinare gli eventi della propria città. Questa presentazione non le ricorda qualcuno?
Dicono che abbia questo potere. Quando lavoro cerco di non pensarci, di mettere fuori ogni sentimento ed esprimermi con la massima imparzialità. Quando si scrive, lo stato emotivo può condizionarti fortemente, tanto da poter farti scrivere qualcosa di buono o di cattivo sul solito show. Partire da questa consapevolezza ti aiuta a mettere il mondo fuori, a fare spazio all’obiettività necessaria per far bene il tuo lavoro.
Il film di Sorrentino parla della grande bellezza, chimera che il protagonista rincorre, sogno dentro il quale ama immergersi, prossimo romanzo che auspica come il capolavoro della propria vita. Tu pensi mai a scrivere un secondo romanzo?
Sinceramente no. E penso raramente anche al concetto di grande bellezza. Quello che amo cercare sono in generale grandi storie da trasformare in grandi esperienze. La bellezza mi affascina quanto il tragico, due forze necessarie quanto capaci di bilanciarsi nell’universo.
Come sta l’arte contemporanea di New York?
Bene. Per New York questo è un momento positivo. È ricchissima di eventi non soltanto a Chelsea, ma in vari luoghi della città.
La crisi Lehman del 2008 è già stata smaltita?
Per il mercato dell’arte è stato un duro colpo, ma in altri settori è andata molto peggio. Le fluttuazioni e gli aggiustamenti di prezzi sono capitate prima e continueranno a succedere anche in futuro per motivi diversi.
Un esempio?
La sovraesposizione di arte femminile susseguita a un lunghissimo periodo di non considerazione, durante il quale i lavori creativi delle donne venivano presi poco sul serio. Ma questi sono argomenti da art dealer. Un critico d’arte non deve occuparsene.
E allora, qual è il fulcro di cui un critico d’arte si deve occupare?
Oggi il giudizio di un critico d’arte non vende i biglietti per un teatro o per un cinema. Il suo ruolo deve essere quello di informare con autorevolezza, scegliere di segnalare quello che merita di essere sottolineato, in pratica influenzare la maniera in cui la storia sarà scritta.
A proposito di storia, il nome di qualche artista per il quale prevede un grande futuro?
Potrei fartene qualcuno, ma non voglio. Per valutare seriamente il lavoro di un artista, per capire cosa è importante e cosa è cattivo, occorre una prospettiva di almeno venticinque anni. Non rientra nel mio ruolo prevedere.
Qual è il miglior approccio per scrivere una critica d’arte?
Andare a vedere uno show senza aspettative. Questo è senz’altro il miglior punto di partenza.
Quindi?
A me piace cercare di tenere presenti luoghi e circostanze relative alle opere in questione. Lo stesso lavoro, se esposto in un museo in Europa, in una galleria a New York o in uno spazio pubblico in Asia, acquista un valore completamente differente, quindi altrettanto diverso deve esserne il giudizio. È un argomento che mi ha sempre affascinato molto.
Sono nuovo della città. Arrivato da un paio d’anni, mi sto impegnando a visitare molti opening. In generale, sono molto sorpreso dalla scarsità di arte sociale. È giusto accusare l’arte di questa città di incoscienza civile?
Le foto di Che Guevara in giro non ci sono più, se è questo il tipo di arte che cerchi. Quello che puoi trovare è arte che contiene un marchio gay, oppure afro. Argomenti politici fortemente attuali nel presente di questa città.
Sarà, ma la mia impressione rimane che l’arte esposta alle pareti di questa città galleggi e talvolta affoghi nel de-pensiero e nella noia. È giusto rimproverare i galleristi di prendere pochi rischi nella selezione delle opere che espongono?
Tenere aperta una galleria a New York significa affrontare molti costi. Il lato commerciale senz’altro provoca pressioni nella scelta delle opere esposte e lascia poco spazio alle sperimentazioni. Devo riconoscere che negli Anni Ottanta l’energia di questa città era differente. Oggi l’energia che c’era allora non si sente più.
Internet e la critica. Come la tecnologia ha cambiato questo settore?
Aumentando le fonti, il dialogo fra critici si è fratturato in tanti luoghi. Inoltre, la gente si informa in molti più luoghi di una volta, facendo così diminuire l’autorevolezza delle fonti istituzionali.
I giornali di arte contemporanea continueranno a essere stampati anche in futuro o presto arriverà l’edizione del loro ultimo numero?
C’è qualcosa che capita a me, ma non so se succede anche alla gente normale: quando guardo una pagina di un giornale, la maniera in cui le informazioni sono organizzate, mi aiuta a conoscere l’argomento meglio rispetto al solito ragionamento presentato su uno schermo. Anche per la parte visiva, le riviste e i giornali sono in media migliori rispetto agli schermi, dove le immagini sono spesso tagliate. Credo che i giornali d’arte continueranno a vivere a lungo.
Quali sono le opportunità più interessanti che un critico d’arte può ottenere dalla tecnologia?
Velocità e comodità nel raccogliere le informazioni. Ma anche qui c’è un lato negativo della medaglia.
Cioè?
Il rischio di isolarsi troppo. Se vai a informarti su un artista in biblioteca, ti può capitare di cominciare una conversazione con il bibliotecario che ti porta a una domanda che, se tu fossi rimasto solo a casa, non ti sarebbe mai venuta in mente. Il dialogo è il sale della critica.
Alessandro Berni
http://artforum.com/contributors/name=linda-yablonsky
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