A Venezia riapre Palazzo Cini. Intervista con Luca Massimo Barbero
Appuntamento a Venezia dal 24 maggio al 2 novembre nel sestiere di Dorsoduro, dove si trovano l’Accademia, la Guggenheim, la Fondazione Vedova e Punta della Dogana. Perché riapre il Palazzo Cini, legato all’omonima Fondazione che sta sull’Isola di San Giorgio e all’Istituto di Storia dell’Arte. Artribune ha intervistato il direttore di quest’ultimo, Luca Massimo Barbero, in attesa di poter studiare la splendida collezione del mecenate.
Da quanto tempo conosci il Palazzo Cini?
Il Palazzo Cini, straordinaria casa-museo un tempo dimora di Vittorio Cini, per chi ha studiato storia dell’arte e critica a Venezia è sempre stato legato alla figura del collezionista e mecenate – tanto da identificarlo con l’Isola di San Giorgio dove c’è la Fondazione che porta il nome del figlio – ma è sempre stato un luogo considerato mitico e semisegreto. Se ne conobbe realmente l’esistenza quando negli Anni Ottanta una sua parte venne donata dagli eredi alla Fondazione Cini e da lì a poco aperta al pubblico.
Qual è il tuo primo ricordo legato al Palazzo?
Negli Anni Ottanta noi studenti iniziammo a vistarlo e la prima visita ebbe dell’incredibile. Ricordo ancora l’effettivo stupore di riconoscere in quello spazio aristocratico ma “ridotto” quei quadri così legati all’arte toscana e al suo Rinascimento: è il caso di Beato Angelico, la sontuosità sospesa tra divino e terreno del Piero di Cosimo e l’istantanea meraviglia del doppio ritratto di Pontormo, che chiude cronologicamente questa sezione del Palazzo. Ma ricordo anche la vera sorpresa, in seguito a un corso proprio sulla pittura ferrarese del Quattrocento-Cinquecento, ammirando i colori, la dimensione, l’inciso fantastico dei dipinti ferraresi: da Ercole de Roberti all’indimenticabile “modernissimo” Dosso Dossi.
Cosa ne pensi, quindi, del Palazzo Cini?
L’idea è proprio quella di entrare in uno spazio ridotto che ti proietta in una sorta di architettura domestica, in uno spazio-tempo condensato che rappresenta l’altissima qualità del sogno di uno straordinario collezionista, oltre che promotore di studi di alta cultura, qual è stato Vittorio Cini. D’altra parte, entrando nella Galleria è come “staccarsi” dalla venezianità e proiettarsi in quella che può essere considerata la ricchezza delle raccolte di storia dell’arte di Venezia.
Visitando il Palazzo Cini si ha la sensazione di scrigno e dimora di un gusto e di una responsabilità culturale di un imprenditore aristocratico che, attraverso arte e studio, lascia un segno indelebile per il futuro. La riapertura del Palazzo è per me emblematica della complessità dell’Istituto di Storia dell’Arte che da poco tempo dirigo, dell’importanza ritrovata degli studia sull’arte antica e simbolicamente celebrativa del sessantennale dello stesso.
Ci racconti rapidamente la storia di questa casa museo, la sua importanza, il suo ruolo nel contesto Venezia?
Nel 2014 coincidono due importanti ricorrenze per la Fondazione Cini: i sessant’anni dalla costituzione dell’Istituto di Storia dell’Arte e il trentennale della donazione del Palazzo Cini da parte degli eredi. Palazzo Cini è l’edificio che unisce Canal Grande e Campo San Vio, già dei Grimani del ramo di Santa Maria Formosa, noto come Palazzo Valmarana e acquistato da Vittorio Cini nel 1919 come sua residenza privata.
La vita di Vittorio Cini fu costantemente segnata da un’attrazione onnivora per l’arte antica, che si esplicò in una passione icastica, da “principe rinascimentale”, per il bello in tutte le sue forme: un collezionismo svolto con ampia disponibilità di mezzi economici, che mirava alla realizzazione, di “sapore faustiano” – come disse Bernard Berenson – di un microcosmo rappresentativo della civiltà occidentale del passato in ogni sua estrinsecazione artigianale e artistica. Cini era quindi un aristocratico “tycoon” dell’epoca, grazie alla sua curiosità e alla grande capacità di riunire grandi intellettuali. Qui, nella sale del Palazzo si sono incontrati i più importanti studiosi, artisti e storici dell’arte del Novecento come Zeri, Berenson, Argan, Fiocco, Pallucchini e Barbantini, al quale Cini affidò la ristrutturazione del Castello di Monselice. È a Palazzo Cini che si incontra quindi una generazione di grandi storici dell’arte ed è all’interno di quelle sale che nel 1954 nascerà l’Istituto di Storia dell’Arte della Fondazione Cini.
E per quanto riguarda la Galleria?
La Galleria di Palazzo Cini, come la conosciamo ora, è stata inaugurata nel 1984 in seguito alla donazione della principessa Yana Cini Alliata di Montereale. La figlia di Vittorio Cini nel 1981 lasciò alla Fondazione un cospicuo gruppo di dipinti toscani, alcune sculture di pregio e diversi oggetti di arte decorativa. I dipinti toscani, cui si aggiunge il nucleo di tavole ferraresi in deposito dal 1989 per concessione dell’altra figlia, Ylda Cini Guglielmi di Vulci, sono esposti nelle sale del piano nobile.
Palazzo Cini è stato da quel momento aperto al pubblico saltuariamente, in occasioni di visite guidate e con aperture temporanee per eventi speciali, ascolti di musica rara, presentazioni di libri o convegni e per mostre temporanee sia organizzate dalla Fondazione, che in collaborazione con altre Istituzioni. Nel 2013 la Galleria è stata sede del Padiglione Nazionale dell’Angola alla 55° Esposizione Internazionale d’Arte.
Il Palazzo si trova nel cuore della museum mile veneziana, dall’Accademia alla Guggenheim a Punta della Dogana. Quali interazioni immagini con queste istituzioni?
Penso sia emersa da subito naturalmente quella che è nel sestiere di Dorsoduro una “penisola” dei musei, pensando in modo veneziano, che ha proprio una sua radice nell’Accademia, appena restaurata e ampliata con il suo patrimonio straordinario d’arte, e arriva sino alla Punta della Dogana, elemento di pulsante contemporaneità. Questa penisola si completa con una nuova offerta che ha un parallelismo con la Collezione Peggy Guggenheim: l’idea di una dimora di un mecenate collezionista e promotore delle arti. Le due case che distano “un ponte e una calle”, o meglio, i due palazzi privati celebrano entrambi in modo vivo l’intelligenza, la curiosità e la vitalità dei collezionisti loro proprietari.
È naturale pensare che con queste istituzioni, dalla Guggenheim fino a un altro grande collezionista come Pinault e a un artista come Emilio Vedova, a cui si aggiunge la rarità dei capolavori Cini, questa penisola si definisca come un luogo nuovo più completo e si presenti nella sua interezza come una grande opportunità di visita della città, dove un visitatore può attraversare il tempo dal Medioevo alla grande contemporaneità. Stiamo costruendo e modellando reciprocità, approfondimenti con tutte queste istituzioni e spero si possa presto produrre una piccola mappa, di questa penisola di Dorsoduro, che illustri al visitatore questa promenade nell’arte dandogli l’opportunità di trascorrere una giornata straordinaria, impossibile altrove.
Si apre in occasione della Biennale di Architettura 2014. Quali progetti per questi spazi in vista invece della Biennale d’Arte del 2015? Il Palazzo tornerà a essere messo a disposizione di uno dei padiglioni nazionali?
Penso di esser stato sin da tempi non sospetti fautore della convivenza tra settori e cronologie di luoghi e periodi della storia dell’arte. Il palazzo approfondirà temi dell’arte antica legati anche alle opere custodite dall’Istituto, ma è anche uno scrigno forte dove una tantum far dialogare l’arte che attraversa i secoli e i tempi. L’esperienza con il Padiglione Angola è stata straordinaria, coronata – con grande soddisfazione per la Fondazione Cini – con il Leone d’oro. Questo dialogo serrato fra la dimensione del Palazzo, le sue collezioni e l’intervento specifico degli artisti ha reso la visita unica e creato un dialogo forte e vitale.
Sicuramente lo spazio tornerà quindi a interagire e a essere luogo di interventi/confronti e installazioni di natura contemporanea, purché create in un clima di dialogo e di curiosità riguardanti lo spazio e le sue collezioni.
Che lavori sono stati effettuati per portare all’apertura degli spazi?
Lo spirito principale che si vuole salvaguardare è quello con cui Vittorio Cini e i suoi eredi donarono parte della loro casa agli studiosi, e al pubblico. I lavori quindi sono stati minimi e compiuti con grande discrezione, proprio per conservare quel gusto che mantiene certo anche uno spirito del tempo con cui il Palazzo è stato presentato per la prima volta trent’anni fa. Visitare la Galleria significa entrare dalla piccola porta in fondamenta, attraversare l’atrio domestico, tutt’altro che pomposo, e salire nell’anticamera del piano nobile dove si ha una sorpresa per la densità con cui si presentano le opere. I dipinti e gli oggetti saranno illuminati in modo nuovo e tecnologicamente avanzato, e si sta lavorando per garantire la sicurezza dei visitatori, i quali accederanno in modo limitato al Palazzo per garantire una migliore fruizione degli spazi domestici. Verrà inoltre ripristinata tutta l’illuminazione e la decorazione immaginifica e neo rococò pensata nel 1958-59 da Tomaso Buzzi per l’abitazione di Cini, compresa la straordinaria scala ovale che è un microscopico capolavoro di architettura. Tra l’altro la Fondazione proprio quest’anno, in settembre, celebra Tomaso Buzzi con una mostra nell’ambito de Le Stanze del Vetro.
Inoltre, per promuovere la conoscenza di questi capolavori e per restituire la preziosità filologica delle opere custodite a Palazzo Cini, come da vocazione statutaria degli studi di arte antica, l’Istituto di Storia dell’Arte ha iniziato una nuova campagna di studio dei dipinti e degli oggetti, coinvolgendo studiosi di arte antica di nuova generazione, che diventerà una pubblicazione nel 2015.
In che modo Generali ha contribuito a questa riapertura?
Le Generali sono a fianco della Fondazione Cini da molti anni. Lavorando su un’idea di promozione, tutela della cultura, l’azienda ha subito compreso l’importanza della restituzione del Palazzo Cini alla città, in un’ottica della sua centralità della cultura nella storia di Venezia. Quindi è diventato il partner principale, sostenendoci sia nelle spese vive che nella comunicazione di questo progetto.
Raccontaci a volo d’uccello quali importanti opere d’arte sono contenute nel Palazzo.
Nelle sale del primo piano nobile, arredate con mobili e oggetti d’arte che riflettono il carattere originario dell’abitazione e il gusto personale del grande collezionista, sono esposti una trentina di dipinti di scuola toscana e i dipinti di scuola ferrarese del Rinascimento. Due aspetti però mi sorprendono della collezione, quelli meno evidenti. Il primo si trova nell’anticamera di accoglienza e riguarda la raccolta di oggetti d’arte che generalmente si tende a trascurare. Studiati, infatti, i rami smaltati rinascimentali lì conservati sono straordinari e secondi al mondo per vastità della collezione (saranno oggetto di un seminario a ottobre insieme al Louvre). Poi si può ammirare il Maestro del Crocefisso d’Argento e il dittico Cini. Personalmente amo la croce bifacciale di Giunta Pisano: forte, esile, una dedica sofferente e trionfante. Ma è forse nella grande vetrina che percorre l’anticamera e la prima sala che chiedo allo spettatore di concentrarsi e non rimanere sopraffatto dalla naturalezza domestica con cui gli oggetti sono presentati: placchette dal XII secolo e cofanetti d’avorio della Bottega degli Embriachi, oreficerie, sculture in terracotta. E poi alle pareti si possono ammirare le pale di Giotto, Gaddi, Guariento. Insomma, si vede il dipanarsi straordinario nello spazio di pochi metri del grande gusto del collezionista Vittorio Cini.
Nel salone centrale, cito velocemente: il polittico del Maestro Francesco, prezioso, terribile nelle sue figure. La leggiadria ricca della sala da pranzo disegnata da Buzzi in cui stucchi, specchi e illuminazione contengono incastonati i 275 pezzi delle porcellane del servizio Cozzi. Con un ritmo serrato, nelle due stanze successive un’altra nuova esplosione di preziosità: Filippo Lippi, Piero di Cosimo, Botticelli, Verrocchio, Mazzolino. Sono poche sale ma con un’intensità irripetibile e una qualità densissima.
Sei direttore dell’Istituto di Storia dell’Arte della Fondazione Cini. Di cosa si occupa questa istituzione?
L’Istituto di Storia dell’Arte da sessant’anni svolge un ruolo di promozione e di sostegno alla conoscenza, alla ricerca, alla comunicazione e alla diffusione della storia dell’arte, con attenzione all’arte veneta. Oltre a conservare e incrementare strutture tradizionali come biblioteca e fototeca, incoraggia e coordina ricerche d’ampio raggio (anche attribuendo apposite borse di studio che presto divulgheremo in modo capillare), incontri e convegni di studi. Custodisce un importante nucleo di opere d’arte, soprattutto disegni (Guardi, Piazzetta, Tiepolo), incisioni (Piranesi), dipinti, miniature e libri antichi; conserva fondi storici dei grandi studiosi di arte veneta, da Giuseppe Fiocco a Rodolfo Pallucchini e sta progressivamente ampliando le sue raccolte con nuove importanti donazioni. Promuove inoltre una fitta serie di pubblicazioni: collane di volumi, repertori e le riviste Arte Veneta e Saggi e Memorie, strumenti indispensabili per gli studiosi internazionali.
Da quando sono Direttore dell’Istituto, uno dei mei desideri è stato di proseguire entrambe queste riviste implementandone veste grafica, diffusione, distribuzione. Saggi e memorie, oltre a trattare di storia dell’arte, avrà un nuovo affondo nelle arti applicate e prossimamente nel disegno industriale. E – importante novità – sarà disponibile in tutti i suoi numeri online per una divulgazione globale.
In che modo le attività dell’Istituto possono beneficiare della presenza del nuovo spazio?
In questo contesto Palazzo Cini sarà uno spazio di ricezione e antenna attraverso cui sarà possibile captare un pubblico maggiore e far recepire meglio le attività di studio della Fondazione Cini, ma anche delle Stanze del Vetro, progetto straordinario che, insieme alla Fondazione Pentragram, propone mostre di altissima qualità sul vetro e con cui – tra l’altro – abbiamo esposto i vetri di Carlo Scarpa al Metropolitan di New York. Gli spazi di Palazzo Cini si riveleranno luogo ideale per approfondire le collezioni che sono giunte alla Fondazione.
Nel mese di ottobre di quest’anno, a sessant’anni esatti di distanza dallo storico congresso organizzato dalla Fondazione Cini nell’ottobre del 1954 sul tema Arte figurativa e arte astratta – in occasione del quale fu ufficialmente presentato l’Istituto di Storia dell’Arte – organizzeremo un convegno internazionale di studi sullo stesso tema. Il convegno si propone di rileggere in chiave attuale, e alla presenza dei principali artisti, critici e storici dell’arte della scena internazionale, le principali tematiche ispirate al dibattito di allora e al tempo stesso di indagare le prospettive critiche e visive dal dopoguerra a oggi.
Massimiliano Tonelli
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