Il David va alla guerra: l’arte di distruggere le Alpi Apuane, parte II
Il marmo di Carrara: una continuità attraverso i secoli e le civiltà sotto cui si cela una triste trasformazione. Da materiale sommo della scultura il marmo, polverizzato, è divenuto l’ingrediente di svariate produzioni industriali. E la quantità di Alpi Apuane asportata è cresciuta a dismisura: l’iperbole barocca del poeta di corte dei Cybo, Niccolò Margaritoni – “Conducon monti in mar” - si è rivelata essere una funesta profezia.
Di fronte all’economia di rapina che saccheggia il loro territorio, i Liguri Apuani, un tempo fieri, sono rimasti a lungo come anestetizzati. Adesso, grazie soprattutto alle battaglie promosse dagli ambientalisti, qualcosa sembra muoversi, sia a livello di presa di coscienza da parte della cittadinanza che a livello istituzionale. Nella bozza del nuovo Piano Paesaggistico presentato dalla Regione Toscana nel gennaio del 2014 si prevede la progressiva chiusura di numerose cave “intercluse”, ovvero situate all’interno del Parco Regionale delle Alpi Apuane (eh sì, perché ci sarebbe anche un parco naturale, calpestato quant’altri mai). Apriti cielo! Levata di scudi di industriali, sindaci, e dello stesso presidente del parco Alberto Putamorsi (di cui, a ragione, si chiedono da più parti le dimissioni). E persino di alcuni “intellettuali”, come Philippe Daverio, di cui si sono dovute leggere (sul Quotidiano Nazionale del 26 febbraio 2014) dichiarazioni di una superficialità sconsolante. Partendo dall’innegabile constatazione che buona parte del paesaggio italiano, e toscano in particolare, è un paesaggio costruito dall’uomo, storico e non incontaminato, il Philippe nazionale difende a spada tratta, in un tripudio di retorica artistico-patriottica, l’attività estrattiva. Non una parola sullo svilente utilizzo attuale dell’oro bianco. Non una parola sul fatto che il contadino che coltiva una collina non la distrugge, ma la modella, mentre l’escavazione divora a un ritmo forsennato le montagne. Scompaiono ambienti ancora selvaggi, e unici al mondo; ma anche le tracce della storia millenaria dell’attività estrattiva (tagliate romane, vie di lizza, etc.). E spariscono quegli stessi scenari prodotti dall’escavazione odierna, che non si possono ritenere semplicemente “brutti”, ma dai quali promana un’indubbia fascinazione estetica, cui concorrono la grandiosità dei bacini e delle candide pareti e il sentimento della capacità distruttiva dell’uomo: un misto “sublime” di bellezza e orrore, insomma, che finirà inghiottito dalla stessa ingordigia che l’ha generato.
Una delle cose che fanno più rabbia è il fatto che spesso i sostenitori del saccheggio tirino in ballo Michelangelo, e soprattutto il David. Siamo all’assurdo: difficilmente il maestro sarebbe contento di vedere ridotte in polvere le sue montagne, e sbriciolati gli altissimi “concetti” che il marmo racchiude. E poi, se in questa storia c’è un David, è chi combatte contro il Golia delle multinazionali, non certo il contrario; al punto che il celeberrimo capolavoro, sottratto all’uso distorto che solitamente se ne fa, potrebbe assurgere a simbolo della battaglia. Il colossale adolescente ne trarrebbe, per primo, giovamento, visto che nuove interpretazioni fanno sempre bene alle opere stranote e aiutano a riscattarle dalla loro condizione di feticci. Soprattutto, assumere come emblema della lotta un vertice della scultura aiuterebbe ad evidenziare un aspetto fondamentale: difendere le Apuane non significa battersi soltanto per la salvezza di ambienti naturali, né tantomeno rinnegare il marmo; al contrario, il blocco o il forte ridimensionamento dell’escavazione rappresentano l’unico modo per ridare dignità al marmo, per riaffermarne il carattere di pietra straordinaria, per celebrarne e salvaguardarne la storia, fatta di sommi artisti e di tenaci cavatori.
Lo scontro è impari, ma forse – come nel racconto biblico – dall’esito inatteso.
Fabrizio Federici
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